domenica 11 marzo 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 64


ARTICOLO 64

“Ciascuna camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta.
La deliberazione di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.
I membri del governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La Costituzione dà a ciascuna camera il potere di autoformazione delle norme interne. Offre alle due massime assemblee legislative la prerogativa di autodisciplinarsi nello svolgimento dei lavori. È una grande autonomia. Le camere sono libere di darsi regolamenti capaci di dettare i tempi e i modi di formazione delle leggi e di disciplinare tutta la vita dell’assemblea. I Regolamenti parlamentari sono subordinati solo alla costituzione. Questo li rende una fonte normativa ben diversa dagli altri regolamenti, che invece sono atti normalmente amministrativi e sono subordinati a tutte le altre leggi dello stato, mettendoli così sull’ultimo gradino di un ideale piramide legislativa. I Regolamenti parlamentari invece sono di estrema importanza. I regolamenti di qualsiasi ente sono definiti “interna corporis”. Sono atti che servono a disciplinare il funzionamento e la vita di uffici e istituti della pubblica amministrazione. Sono atti di natura normativa, cioè si impongono quali regole per tutti coloro che sono a contatto con l’ente che li ha adottati, ma non possono e non devono scalfire la legge, che deve comunque prevalere in caso di contrasto. Il regolamento parlamentare è invece una fonte separata rispetto all’ordinamento giuridico dello stato. Sfugge a una collocazione gerarchica delle fonti.  I regolamenti sono fonti separate, frutto di un diritto delle Camere di disciplinarsi nell’organizzazione interna, forza data direttamente dalla Costituzione. I regolamenti parlamentari servono a dettare i modi di formazione degli organi interni delle due Camere. Indicano il funzionamenti delle varie Commissioni che compongono le due assemblee. Detta l’attività dei gruppi parlamentari. I regolamenti fissano come i disegni e le proposte di leggi debbano essere discusse e approvate. Indica quali siano le Commissioni che debbono occuparsi preventivamente di una proposta di legge. Una peculiarità dei regolamenti parlamentari è che non sono sottomessi al vaglio della Corte Costituzionale. L’articolo 134 della Costituzione, che enumera gli atti soggetti al vaglio della Consulta, non li cita. La Corte Costituzionale più volte ha pronunciato la sua incompetenza in materia, però non ha mai detto che un regolamento parlamentare possa sussistere in lampante conflitto con la Carta, spetta all’organo che l’ha emanato, attraverso i propri organi, cassare il testo regolamentare non conforme al  volere dei nostri padri costituenti. In ragione di questo dobbiamo costatare che il regolamento non è soggetto ad alcun controllo esterno. In nome della piena autonomia delle Camere nemmeno il giudice dei giudici, quella Coste Costituzionale chiamata a sindacare sulla validità delle leggi, può pronunciarsi su un atto proprio delle Camere, un atto che esalta l’autonomia e l’autodichia delle due Camere. Spetta alla saggezza del Parlamento, delle due Camere, evitare di autoregolamentarsi in maniera non conforme ai sovrani dettami dello stato repubblicano. In teoria anche il parlamento in seduta comune potrebbe fornirsi di un regolamento proprio, anche se non è un concetto esplicitato dalla Costituzione. Appare certo che tutti gli organi costituzionali, quindi anche il Parlamento, debba avere un proprio regolamento. Oggi la prassi costituzionale fa adottare alle Camere riunitesi congiuntamente il regolamento della camera dei deputati. Ma nessuno vieterebbe ai deputati e senatori, seduti in un consesso comune, di darsi delle regole interne proprie. Ma, come sappiamo, il parlamento si riunisce in seduta comune solo per espletare mansioni ben definite dalla Costituzione, quali eleggere o mettere in stato d’accusa il presidente della repubblica oppure eleggere cinque membri della Corte Costituzionale. Finite tali incombenze si scioglie. Buona prassi costituzionale, rigidamente seguita in passato e tutt’oggi, è evitare che si protragga l’assise comune. Quindi si è sempre preferito rinunciare alla stesura e all’approvazione di un regolamento del Parlamento in seduta comune, si è adottato in questi casi il regolamento della Camera dei deputati, mutuandone i contenuti e le norme.
 Il secondo comma dell’articolo 64 della Costituzione stabilisce che le sedute delle due camere sono pubbliche. È un principio fondamentale. Il parlamento deve essere un palazzo di vetro. Ogni atto compiuto dalle due Camere deve essere oggetto del vaglio dell’intero corpo elettorale. Il popolo italiano guarda i suoi parlamentari, li ascolta, li giudica. L’operato degli onorevoli deve essere messo quotidianamente sotto giudizio. È d’obbligo notare che la Costituzione prevede che in alcuni casi le sedute delle Camere possano rimanere segrete. È un’eccezione alla prassi normale. Una decisione così delicata deve essere deliberata e motivata dall’intera assemblea. Questa potestà spetta sia alla Camera dei Deputati sia al Senato sia al Parlamento in seduta comune. È bene che sia adottata con estrema parsimonia. Il principio di trasparenza dei lavori parlamentari è un bene per la democrazia. Bisogna che sia scalfito il meno possibile e per ragioni di alto profilo costituzionale e per il bene generale e della nazione. Troppo spesso l’opinione pubblica ha percepito il parlamento come sede di interessi personali, come luogo in cui i politici facessero leggi ad personam. Le polemiche fra destra e sinistra sono note. A parte questi disdicevoli battibecchi è giusto ricordare che la Costituzione vuole che gli atti del parlamento siano pubblici e che siano improntati all’interesse generale, malgrado milioni di elettori che votano Lega e Forza Italia la pensino diversamente. Sarebbe cosa buona e giusta che Berlusconi e Salvini cambino la costituzione se veramente vogliono tutelare, come hanno promesso ai propri elettori, chi paga e incassa tangenti.
Il terzo comma dell’articolo 64 indica le modalità ordinarie per approvare un provvedimento parlamentare. Se la Costituzione non prevede maggioranze speciale o/e qualificate, un provvedimento di legge viene approvato dalla maggioranza dei presenti all’assemblea durante la seduta. La seduta stessa è valida se presenziano almeno la maggioranza dei presenti. Quest’ultimo quorum è denominato “numero legale”. Esso si presume, cioè il presidente dell’assemblea dà per scontato che ci sia il numero legale, fin quando un membro della camera non ne chiede la verifica. Se, dopo la verifica, il presidente dovesse costatare l’assenza del numero legale, aggiorna la seduta a data da destinarsi. È bene quindi che ogni deputato e senatore vegli affinché questa norma costituzionale venga rispettata e così non si alteri il normale lavoro parlamentare e la stessa attività democratica del nostro stato. Per approvare le leggi basta la maggioranza dei presenti. Il regolamento della Camera considera assenti gli astenuti, mentre quello del senato li considera presenti. Questa differenza altera il valore del voto degli astenuti e modifica il quorum di approvazione delle leggi. Faccio un esempio una legge viene votata con tre “si”, due “no” e cinque astenuti in un collegio di dieci persone. Secondo il regolamento della camera la legge viene approvata, perché si guarda soltanto alla deliberazione di coloro che hanno votato a favore o contro. Secondo il regolamento del senato la legge è respinta. Perché? Perché il regolamento della camera alta considera voti rientranti nel computo del quorum anche le astensioni. Se una legge deve avere il “si” del 50% + 1 dei votanti, astenuti compresi, è lampante che la norma non è approvata. Questo determina una diversa dinamica fra Camera e Senato fra maggioranza e opposizione. Coloro che si astengono alla Camera hanno realmente un ruolo di neutralità, coloro che si astengono al senato di fatto è come se votassero contro.  Per ovviare a questo inconveniente molti senatori che in passato non volevano approvare una legge ma allo stesso tempo non volevano contribuire alla sua bocciatura uscivano dal senato. In passato ci sono state scene tristi. Per far passare una legge o per dare la fiducia a un governo Palazzo Madama appariva vuoto e deserto. Una scena deprimente per una Repubblica che vuole essere palestra di confronto pubblico e democratico. Vorremmo che non ci fossero bizantinismi e che i parlamentari scegliessero sempre di appoggiare o bocciare una norma, con la trasparenza e la schiettezza dovuta per riguardo all’intero popolo italiano. Vergognoso è l’episodio della fiducia al governo presieduto dall’onorevole Giulio Andreotti, siamo negli anni settanta del secolo scorso, un senato vuoto approva la mozione, mentre la maggioranza dei suoi componenti era fuori dall’aula.
Il quarto comma stabilisce che i membri del governo possono assistere alle sedute. La nostra repubblica è parlamentare. Il Governo del paese è possibile solo attraverso la fiducia che intercorre fra rappresentanti del popolo ed esecutivo. È bene che per un corretto funzionamento della Repubblica il governo ascolti le istanze del parlamento. Ed è bene che ogni ministro e l’intero esecutivo collegialmente sia ascoltato dalle assemblee legislative. Per questo motivo ogni ministro può sedere nelle camere, anche se non ne fa parte, può ascoltare le istanze degli onorevoli e può intervenire ed esporre le sue convinzioni nel corso del dibattimento. I regolamenti parlamentari disciplinano i momenti di interlocuzione fra il potere esecutivo e quello legislativo. Ci sono le mozioni, degli atti che ogni deputato può presentare con richieste al governo che possono essere votate dalla camera e poi presentate all’esecutivo. Ci sono delle interpellanze, cioè delle richieste di chiarimento che ogni eletto dal popolo può rivolgere al governo, appositamente invitato in parlamento. Insomma l’interazione fra i due poteri dello stato, cardine della politica italiana, è molto importante. Il governo deve ascoltare il parlamento, si deve fare strumento del suo indirizzo politico, o meglio di quello della maggioranza che gli ha dato la fiducia. Il Parlamento deve essere pronto a recepire le esigenze dell’esecutivo. Deve capire quali siano le priorità per il bene comune. Se non dovesse condividere le scelte dell’esecutivo, è bene che lo sfiduci, cioè imponga con voto che si dimetta. Quello che deve caratterizzare il dialogo fra governo e parlamento è la trasparenza e la volontà di operare per il bene della patria. Per questo motivo è bene che i ministri rispondano in parlamento del loro operato e che sollecitamente si presentino alle Camere quando è richiesta la loro presenza. Allo stesso tempo è bene che le assemblee ascoltino con attenzione gli interventi dei ministri, quando questi sentano il bisogno di parlare alle camere del loro operato al fine di incitare il parlamento stesso a supportare il lavoro ministeriale con la sollecita approvazione di norme.

Testo di Gianfranco Pellecchia


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