ARTICOLO 64
“Ciascuna camera
adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Le sedute sono
pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite
possono deliberare di adunarsi in seduta segreta.
La deliberazione di
ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la
maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei
presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.
I membri del governo,
anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo,
di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La Costituzione dà a ciascuna camera il potere di
autoformazione delle norme interne. Offre alle due massime assemblee
legislative la prerogativa di autodisciplinarsi nello svolgimento dei lavori. È
una grande autonomia. Le camere sono libere di darsi regolamenti capaci di
dettare i tempi e i modi di formazione delle leggi e di disciplinare tutta la vita
dell’assemblea. I Regolamenti parlamentari sono subordinati solo alla
costituzione. Questo li rende una fonte normativa ben diversa dagli altri
regolamenti, che invece sono atti normalmente amministrativi e sono subordinati
a tutte le altre leggi dello stato, mettendoli così sull’ultimo gradino di un
ideale piramide legislativa. I Regolamenti parlamentari invece sono di estrema
importanza. I regolamenti di qualsiasi ente sono definiti “interna corporis”.
Sono atti che servono a disciplinare il funzionamento e la vita di uffici e
istituti della pubblica amministrazione. Sono atti di natura normativa, cioè si
impongono quali regole per tutti coloro che sono a contatto con l’ente che li
ha adottati, ma non possono e non devono scalfire la legge, che deve comunque
prevalere in caso di contrasto. Il regolamento parlamentare è invece una fonte
separata rispetto all’ordinamento giuridico dello stato. Sfugge a una
collocazione gerarchica delle fonti. I
regolamenti sono fonti separate, frutto di un diritto delle Camere di
disciplinarsi nell’organizzazione interna, forza data direttamente dalla
Costituzione. I regolamenti parlamentari servono a dettare i modi di formazione
degli organi interni delle due Camere. Indicano il funzionamenti delle varie
Commissioni che compongono le due assemblee. Detta l’attività dei gruppi
parlamentari. I regolamenti fissano come i disegni e le proposte di leggi
debbano essere discusse e approvate. Indica quali siano le Commissioni che
debbono occuparsi preventivamente di una proposta di legge. Una peculiarità dei
regolamenti parlamentari è che non sono sottomessi al vaglio della Corte
Costituzionale. L’articolo 134 della Costituzione, che enumera gli atti
soggetti al vaglio della Consulta, non li cita. La Corte Costituzionale più volte
ha pronunciato la sua incompetenza in materia, però non ha mai detto che un
regolamento parlamentare possa sussistere in lampante conflitto con la Carta,
spetta all’organo che l’ha emanato, attraverso i propri organi, cassare il
testo regolamentare non conforme al
volere dei nostri padri costituenti. In ragione di questo dobbiamo
costatare che il regolamento non è soggetto ad alcun controllo esterno. In nome
della piena autonomia delle Camere nemmeno il giudice dei giudici, quella Coste
Costituzionale chiamata a sindacare sulla validità delle leggi, può
pronunciarsi su un atto proprio delle Camere, un atto che esalta l’autonomia e
l’autodichia delle due Camere. Spetta alla saggezza del Parlamento, delle due
Camere, evitare di autoregolamentarsi in maniera non conforme ai sovrani
dettami dello stato repubblicano. In teoria anche il parlamento in seduta
comune potrebbe fornirsi di un regolamento proprio, anche se non è un concetto
esplicitato dalla Costituzione. Appare certo che tutti gli organi costituzionali,
quindi anche il Parlamento, debba avere un proprio regolamento. Oggi la prassi
costituzionale fa adottare alle Camere riunitesi congiuntamente il regolamento
della camera dei deputati. Ma nessuno vieterebbe ai deputati e senatori, seduti
in un consesso comune, di darsi delle regole interne proprie. Ma, come
sappiamo, il parlamento si riunisce in seduta comune solo per espletare
mansioni ben definite dalla Costituzione, quali eleggere o mettere in stato
d’accusa il presidente della repubblica oppure eleggere cinque membri della
Corte Costituzionale. Finite tali incombenze si scioglie. Buona prassi
costituzionale, rigidamente seguita in passato e tutt’oggi, è evitare che si
protragga l’assise comune. Quindi si è sempre preferito rinunciare alla stesura
e all’approvazione di un regolamento del Parlamento in seduta comune, si è
adottato in questi casi il regolamento della Camera dei deputati, mutuandone i
contenuti e le norme.
Il secondo comma dell’articolo
64 della Costituzione stabilisce che le sedute delle due camere sono pubbliche.
È un principio fondamentale. Il parlamento deve essere un palazzo di vetro. Ogni
atto compiuto dalle due Camere deve essere oggetto del vaglio dell’intero corpo
elettorale. Il popolo italiano guarda i suoi parlamentari, li ascolta, li
giudica. L’operato degli onorevoli deve essere messo quotidianamente sotto
giudizio. È d’obbligo notare che la Costituzione prevede che in alcuni casi le
sedute delle Camere possano rimanere segrete. È un’eccezione alla prassi
normale. Una decisione così delicata deve essere deliberata e motivata dall’intera
assemblea. Questa potestà spetta sia alla Camera dei Deputati sia al Senato sia
al Parlamento in seduta comune. È bene che sia adottata con estrema parsimonia.
Il principio di trasparenza dei lavori parlamentari è un bene per la
democrazia. Bisogna che sia scalfito il meno possibile e per ragioni di alto
profilo costituzionale e per il bene generale e della nazione. Troppo spesso l’opinione
pubblica ha percepito il parlamento come sede di interessi personali, come
luogo in cui i politici facessero leggi ad personam. Le polemiche fra destra e
sinistra sono note. A parte questi disdicevoli battibecchi è giusto ricordare
che la Costituzione vuole che gli atti del parlamento siano pubblici e che
siano improntati all’interesse generale, malgrado milioni di elettori che
votano Lega e Forza Italia la pensino diversamente. Sarebbe cosa buona e giusta
che Berlusconi e Salvini cambino la costituzione se veramente vogliono
tutelare, come hanno promesso ai propri elettori, chi paga e incassa tangenti.
Il terzo comma dell’articolo 64 indica le modalità ordinarie
per approvare un provvedimento parlamentare. Se la Costituzione non prevede
maggioranze speciale o/e qualificate, un provvedimento di legge viene approvato
dalla maggioranza dei presenti all’assemblea durante la seduta. La seduta
stessa è valida se presenziano almeno la maggioranza dei presenti. Quest’ultimo
quorum è denominato “numero legale”. Esso si presume, cioè il presidente dell’assemblea
dà per scontato che ci sia il numero legale, fin quando un membro della camera
non ne chiede la verifica. Se, dopo la verifica, il presidente dovesse
costatare l’assenza del numero legale, aggiorna la seduta a data da destinarsi.
È bene quindi che ogni deputato e senatore vegli affinché questa norma
costituzionale venga rispettata e così non si alteri il normale lavoro
parlamentare e la stessa attività democratica del nostro stato. Per approvare
le leggi basta la maggioranza dei presenti. Il regolamento della Camera
considera assenti gli astenuti, mentre quello del senato li considera presenti.
Questa differenza altera il valore del voto degli astenuti e modifica il quorum
di approvazione delle leggi. Faccio un esempio una legge viene votata con tre “si”,
due “no” e cinque astenuti in un collegio di dieci persone. Secondo il
regolamento della camera la legge viene approvata, perché si guarda soltanto
alla deliberazione di coloro che hanno votato a favore o contro. Secondo il
regolamento del senato la legge è respinta. Perché? Perché il regolamento della
camera alta considera voti rientranti nel computo del quorum anche le
astensioni. Se una legge deve avere il “si” del 50% + 1 dei votanti, astenuti
compresi, è lampante che la norma non è approvata. Questo determina una diversa
dinamica fra Camera e Senato fra maggioranza e opposizione. Coloro che si
astengono alla Camera hanno realmente un ruolo di neutralità, coloro che si
astengono al senato di fatto è come se votassero contro. Per ovviare a questo inconveniente molti
senatori che in passato non volevano approvare una legge ma allo stesso tempo
non volevano contribuire alla sua bocciatura uscivano dal senato. In passato ci
sono state scene tristi. Per far passare una legge o per dare la fiducia a un
governo Palazzo Madama appariva vuoto e deserto. Una scena deprimente per una
Repubblica che vuole essere palestra di confronto pubblico e democratico.
Vorremmo che non ci fossero bizantinismi e che i parlamentari scegliessero
sempre di appoggiare o bocciare una norma, con la trasparenza e la schiettezza
dovuta per riguardo all’intero popolo italiano. Vergognoso è l’episodio della
fiducia al governo presieduto dall’onorevole Giulio Andreotti, siamo negli anni
settanta del secolo scorso, un senato vuoto approva la mozione, mentre la
maggioranza dei suoi componenti era fuori dall’aula.
Il quarto comma stabilisce che i membri del governo possono
assistere alle sedute. La nostra repubblica è parlamentare. Il Governo del
paese è possibile solo attraverso la fiducia che intercorre fra rappresentanti
del popolo ed esecutivo. È bene che per un corretto funzionamento della Repubblica
il governo ascolti le istanze del parlamento. Ed è bene che ogni ministro e l’intero
esecutivo collegialmente sia ascoltato dalle assemblee legislative. Per questo
motivo ogni ministro può sedere nelle camere, anche se non ne fa parte, può ascoltare
le istanze degli onorevoli e può intervenire ed esporre le sue convinzioni nel
corso del dibattimento. I regolamenti parlamentari disciplinano i momenti di
interlocuzione fra il potere esecutivo e quello legislativo. Ci sono le
mozioni, degli atti che ogni deputato può presentare con richieste al governo
che possono essere votate dalla camera e poi presentate all’esecutivo. Ci sono
delle interpellanze, cioè delle richieste di chiarimento che ogni eletto dal
popolo può rivolgere al governo, appositamente invitato in parlamento. Insomma
l’interazione fra i due poteri dello stato, cardine della politica italiana, è
molto importante. Il governo deve ascoltare il parlamento, si deve fare
strumento del suo indirizzo politico, o meglio di quello della maggioranza che
gli ha dato la fiducia. Il Parlamento deve essere pronto a recepire le esigenze
dell’esecutivo. Deve capire quali siano le priorità per il bene comune. Se non
dovesse condividere le scelte dell’esecutivo, è bene che lo sfiduci, cioè
imponga con voto che si dimetta. Quello che deve caratterizzare il dialogo fra
governo e parlamento è la trasparenza e la volontà di operare per il bene della
patria. Per questo motivo è bene che i ministri rispondano in parlamento del
loro operato e che sollecitamente si presentino alle Camere quando è richiesta
la loro presenza. Allo stesso tempo è bene che le assemblee ascoltino con
attenzione gli interventi dei ministri, quando questi sentano il bisogno di
parlare alle camere del loro operato al fine di incitare il parlamento stesso a
supportare il lavoro ministeriale con la sollecita approvazione di norme.
Testo di Gianfranco Pellecchia
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