ARTICOLO 62
“Le Camere si
riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.
Ciascuna Camera può
essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del
Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti.
Quando si riunisce in
via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l’altra.”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La Costituzione regolamenta lo svolgimento dei lavori delle
Camere. Nelle sue pagine sono fissati anche i tempi e i modi di convocazione
delle assemblee elettive nazionali. Impone che Camera e Senato si riuniscano di
diritto almeno due volte all’anno. I due rami del parlamento sono convocati di
imperio e in forza della Costituzione il primo giorno feriale di febbraio e di
Ottobre. In realtà oggi le camere svolgono i loro lavori ininterrottamente.
Quasi tutto l’anno si svolgono attività. In ogni settimana dell’anno, tranne
quelle dedicate alle ferie, il Parlamento è attivo. La scelta di imporre almeno
due riunioni all’anno è dovuta ad evitare che il potere esecutivo possa
orchestrare atti di imperio che impediscano il regolare svolgimento dei lavori
parlamentari. Il primo comma è voluto per evitare che ci sia un vero e proprio
colpo di stato che impedisca nei fatti l’attività parlamentare. Se, per motivi
che esulano i regolari equilibri democratici, fosse intenzione dei vertici
dello stato defenestrare il parlamento dalle sue prerogative, la Costituzione
interviene imponendo la riunione delle Camere e il conseguente ripristino delle
prerogative costituzionali proprie delle Camere. Le Camere infatti, convocate
vis costitutionis, dovrebbero imporre il loro potere, ripristinare l’ordine
democratico, imponendo l’immediata cessazione dell’azione prevaricante del
potere esecutivo. Il pensiero va al regime fascista. Mussolini è stato in grado
di indebolire il potere del parlamento, attraverso un costante depauperamento
delle prerogative assembleari. Quello che è successo nella prima metà del XX
secolo, non dove mai più accadere, almeno questo pensavano i padri costituenti.
In questi ultimi tre decenni due partiti, Forza Italia e Lega, hanno pensato di
ridurre l’autonomia del Parlamento. Silvio Berlusconi, più volte presidente del
Consiglio, ha visto nell’autonomia parlamentare un limite. Sono entrati negli
annali della politica le sue dichiarazioni di apprezzamento verso Benito
Mussolini, da lui definito un grande statista, proprio perché era riuscito ad
imbavagliare i deputati e senatori. Il fatto che milioni di italiani, ancor
oggi, votino per Lega e Forza Italia manifesta un diffuso disprezzo per le
istituzioni della Repubblica e soprattutto per il Parlamento, che sarebbe
ingiusto non tenere in considerazione. È il tempo che in Italia si apra un
dibattito serio. Non bisogna nascondersi. Una parte consistente dell’elettorato
si riconosce in concetti che esulano i principi democratici e parlamentari del
nostro stato. Luca Traini, l’esponente leghista di Macerata, che ha usato la
violenza per portare avanti le sue idee non è un caso isolato. È giusto che si
provi a rivendicare con forza il valore della democrazia parlamentare. Si provi
a ricordare che il rispetto delle altrui idee, manifestate in assemblea, è
fondamento della Costituzione. Bisogna evitare la deriva estremista. È nel
Parlamento che si possono ricreare gli equilibri dialettici necessari per
ripristinare un sano dibattito democratico. La politica non deve scadere nell’estremismo.
La centralità del Parlamento quale organo democratico e palestra di dialogo è
fondamentale. Bisogna convincere partiti come la lega ha mutare pelle. A
rifiutare lo scontro politico, lo scontro dialettico, le parole. è la scelta
migliore. Le camere possono essere convocate anche per iniziativa del Presidente
della Repubblica, che chiama i parlamentari a discutere dei problemi del paese.
La convocazione del Quirinale può essere sollecitata dall’esecutivo, che ha a
cuore che il parlamento discuta di problemi di rilevanza nazionale che
coinvolgono direttamente il governo. Insomma la convocazione delle camere da
parte del primo cittadino dello stato ha una duplice natura. Una
sostanzialmente presidenziale, se l’inquilino del Quirinale convoca le Camere
di sua iniziativa, alla luce di gravi questioni nazionali da risolvere. Una
sostanzialmente governativa, se l’atto di convocazione delle Camere è voluto
dal governo e solo firmato dal presidente della repubblica come atto formale.
Le Camere possono essere convocate dai presidenti degli organi collegiali. Il
presidente della camera e quello del senato può convocare il consesso che
presiede a sua discrezione. Un terzo dei membri di una delle camere possono decidere
di chiedere la convocazione del proprio consesso. La convocazione deve essere
motivata. Deve essere presentata al consiglio di presidenza, che la calendarizzerà
con il supporto fondamentale dell’assemblea dei capigruppo, che hanno una
funzione fondamentale per definire e periodizzare le attività del parlamento. L’ultimo
comma dell’articolo 62 ricorda che in caso di riunione straordinaria di una
delle due camere, automaticamente viene convocata l’altra. Questa è la logica
conseguenza del bicameralismo perfetto. Se nella nostra democrazia ogni atto
parlamentare è il frutto dell’unisono lavoro di Camera e Senato, è giusto che
ogni volta che si riunisca una delle due camere venga convocata l’altra. Questo
comma doveva essere abrogato dalla riforma costituzionale voluta dal ministro
Maria Elena Boschi. Si doveva superare il bicameralismo perfetto. Le due Camere
non dovevano avere, secondo il disegno della riforma, gli stessi poteri e le
stesse funzioni. Il potere legislativo ordinario era sostanzialmente affidato
alla sola Camera dei deputati. Il senato partecipava alla formazione delle
leggi che riguardavano le autonomie locali, le riforme di natura costituzionale
e poco altro. Non avrebbe avuto senso in questo quadro la convocazione di
entrambi gli organo assembleari. Il popolo ha voluto che l’Italia avesse un
parlamento composto da Camera e senato, un organo complesso le cui decisioni
fossero il frutto delle votazioni di entrambi i consessi legislativi. La riforma
è naufragata con il “no” degli italiani al bicameralismo differenziato.
Scritto da Pellecchia Gianfranco
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