sabato 15 agosto 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 62 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.

Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti.

Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l’altra.”

La Costituzione regolamenta lo svolgimento dei lavori delle Camere. Nelle sue pagine sono fissati anche i tempi e i modi di convocazione delle assemblee elettive nazionali. Impone che Camera e Senato si riuniscano di diritto almeno due volte all’anno. I due rami del parlamento sono convocati di imperio e in forza della Costituzione il primo giorno feriale di febbraio e di Ottobre. In realtà oggi le camere svolgono i loro lavori ininterrottamente. Quasi tutto l’anno si svolgono attività. In ogni settimana dell’anno, tranne quelle dedicate alle ferie, il Parlamento è attivo. La scelta di imporre almeno due riunioni all’anno è dovuta ad evitare che il potere esecutivo possa orchestrare atti di imperio che impediscano il regolare svolgimento dei lavori parlamentari. Il primo comma è voluto per scongiurare che ci sia un vero e proprio colpo di stato che impedisca nei fatti l’attività parlamentare. Se, per motivi che esulano i regolari equilibri democratici, fosse intenzione dei vertici dello stato defenestrare il parlamento dalle sue prerogative, la Costituzione interviene imponendo la riunione delle Camere e il conseguente ripristino delle prerogative costituzionali proprie delle Camere. Le Camere infatti, convocate vis costitutionis, dovrebbero imporre il loro potere, ripristinare l’ordine democratico, imponendo l’immediata cessazione dell’azione prevaricante del potere esecutivo. Il pensiero va al regime fascista. Mussolini è stato in grado di indebolire il potere del parlamento, attraverso un costante depauperamento delle prerogative assembleari. Quello che è successo nella prima metà del XX secolo, non dove mai più accadere, almeno questo pensavano i padri costituenti. In questi ultimi tre decenni due partiti, Forza Italia e Lega, hanno pensato di ridurre l’autonomia del Parlamento. Silvio Berlusconi, più volte presidente del Consiglio, ha visto nell’autonomia parlamentare un limite. Sono entrati negli annali della politica le sue dichiarazioni di apprezzamento verso Benito Mussolini, da lui definito un grande statista, proprio perché era riuscito ad imbavagliare i deputati e senatori. Il fatto che milioni di italiani, ancor oggi, votino per Lega e Forza Italia manifesta un diffuso disprezzo per le istituzioni della Repubblica e soprattutto per il Parlamento, che sarebbe ingiusto non tenere in considerazione. È il tempo che in Italia si apra un dibattito serio. Non bisogna nascondersi. Una parte consistente dell’elettorato si riconosce in concetti che esulano i principi democratici e parlamentari del nostro stato. Luca Traini, l’esponente leghista di Macerata, che ha usato la violenza per portare avanti le sue idee non è un caso isolato. È giusto che si provi a rivendicare con forza il valore della democrazia parlamentare. Si provi a ricordare che il rispetto delle altrui idee, manifestate in assemblea, è fondamento della Costituzione. Bisogna evitare la deriva estremista. È nel Parlamento che si possono ricreare gli equilibri dialettici necessari per ripristinare un sano dibattito democratico. La politica non deve scadere nell’estremismo. La centralità del Parlamento quale organo democratico e palestra di dialogo è fondamentale. Bisogna convincere partiti come la lega ha mutare pelle. A rifiutare lo scontro politico, lo scontro dialettico, le parole. è la scelta migliore. Le camere possono essere convocate anche per iniziativa del Presidente della Repubblica, che chiama i parlamentari a discutere dei problemi del paese. La convocazione del Quirinale può essere sollecitata dall’esecutivo, che ha a cuore che il parlamento discuta di problemi di rilevanza nazionale che coinvolgono direttamente il governo. Insomma la convocazione delle camere da parte del primo cittadino dello stato ha una duplice natura. Una sostanzialmente presidenziale, se l’inquilino del Quirinale convoca le Camere di sua iniziativa, alla luce di gravi questioni nazionali da risolvere. Una sostanzialmente governativa, se l’atto di convocazione delle Camere è voluto dal governo e solo firmato dal presidente della repubblica come atto formale. Le Camere possono essere convocate dai presidenti degli organi collegiali. Il presidente della camera e quello del senato può convocare il consesso che presiede a sua discrezione. Un terzo dei membri di una delle camere possono decidere di chiedere la convocazione del proprio consesso. La convocazione deve essere motivata. Deve essere presentata al consiglio di presidenza, che la calendarizzerà con il supporto fondamentale dell’assemblea dei capigruppo, che hanno una funzione fondamentale per definire e periodizzare le attività del parlamento. L’ultimo comma dell’articolo 62 ricorda che in caso di riunione straordinaria di una delle due camere, automaticamente viene convocata l’altra. Questa è la logica conseguenza del bicameralismo perfetto. Se nella nostra democrazia ogni atto parlamentare è il frutto dell’unisono lavoro di Camera e Senato, è giusto che ogni volta che si riunisca una delle due camere venga convocata l’altra. Questo comma doveva essere abrogato dalla riforma costituzionale voluta dal ministro Maria Elena Boschi. Si doveva superare il bicameralismo perfetto. Le due Camere non dovevano avere, secondo il disegno della riforma, gli stessi poteri e le stesse funzioni. Il potere legislativo ordinario era sostanzialmente affidato alla sola Camera dei deputati. Il senato partecipava alla formazione delle leggi che riguardavano le autonomie locali, le riforme di natura costituzionale e poco altro. Non avrebbe avuto senso in questo quadro la convocazione di entrambi gli organo assembleari. Il popolo ha voluto che l’Italia avesse un parlamento composto da Camera e senato, un organo complesso le cui decisioni fossero il frutto delle votazioni di entrambi i consessi legislativi. La riforma è naufragata con il “no” degli italiani al bicameralismo differenziato.

 

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