PROVERBIA
Un libello scritto intorno alla metà del 1100 si intitola
“Proverbia quae dicitur super natura feminorum”. Non bisogna essere un
latinista per capire quale sia l’oggetto del testo. È la natura delle donne.
Cioè il loro carattere. L’autore, anonimo probabilmente abitante nel padovano,
non è molto gentile con il “sesso debole”. Il testo è un violento libello contro
i vizi, presunti, delle donne. Una storiografia delle perfide che hanno segnato
la storia dell’umanità. Si inizia raccontando della peccaminosa Eva che ha
indotto il povero Adamo a mangiare il frutto del bene e del male, facendo
adirare Dio. Per arrivare alle perfide della storia romana e greca, fino a le
regine medioevali. Lo schema poetico è simile a un poemetto francese dello
stesso periodo, il Chastiemusart. Insomma il misoginismo è una costante della
cultura letteraria maschile dell’Età di Mezzo e, urge subito dire, non solo di
quel tempo. Dal punto di vista dello studio sintattico e lessicale, il testo de
“I Proverbia” è uno strumento prezioso per capire come si stesse evolvendo la
forma della lingua volgare. Tanti termini assunti dalla letteratura dotta
latina, vengono trasformati e modellati, per adattarsi a un volgare che si
appresta a diventare linguaggio scritto e non solo parlato come in passato.
Vengono utilizzati gli articoli e le preposizioni articolate, sconosciute nel
latino di Cesare e Cicerone, ma già da tempo utilizzati nelle mura domestiche
in sostituzione delle complesse declinazioni, che modificando l’ultima parte
della parola rendevano in antichità un soggetto diverso da un complemento di
luogo, faccio un esempio. Un modello lessicale, quello articolato, non certo
sconosciuto in passato, il Greco Antico già conosceva gli articoli, ma non c’è
dubbio che è una rivoluzione nell’occidente latino che forgerà anche le lingue
germaniche. Infatti anche l’Inglese ed altre lingue non latine acquisteranno lo
strumento delle preposizioni semplice o articolate come unico strumento per
distinguere la posizione di un nome nella frase e l’azione che descrive. Per
paradosso l’unica lingua che conserverà il sistema “dei casi”, come la
grammatica chiama l’abitudine antica di modificare l’ultima parte di un nome
per individuare la sua posizione grammaticale nella frase, è il Tedesco, la
lingua barbara per antonomasia.
Ma torniamo la tema del racconto dei “Proverbia”. La donna è
il male. È la causa stessa del peccato. È lo strumento del demonio per portare
l’uomo lontano da Dio. Probabilmente è il concretizzarsi poetico dell’opinione che
la sessualità è per sua natura una attività peccaminosa. L’autore si dichiara
Cristiano. Per tale ragione non pensa minimamente di considerare Maria, la
madre di Gesù, come le altre femine. Ma non è da scartare che la caratteristica
che per lui rende la Madonna santa sia proprio la sua verginità. Cioè il non
aver mai indotto in tentazione, scusate la franchezza, il proprio marito
Giuseppe, anche lui casto, e nessun altro. Insomma l’anonimo che scrive questo
poemetto considera il genere femminile lo strumento di tentazione del maschio.
La Donna nella storia è solo vista come strumento lascivo che induce il
guerriero o il dotto al male, a contaminarsi nella perdizione. La femmina è
mezzo del sesso. La donna è lo strumento
di Satana, della grande perdizione.
Nessuna è esclusa. Tutte le donne sono pericolose. L’autore fa chiaro
riferimento perfino alle suore, coloro che hanno scelto di donarsi totalmente
al divino. Anche loro sono delle tentatrici. Sono capaci di far perdere la
testa al chierico come al frate. Insomma questo poemetto è la summa dei
pregiudizi medievali sul genere femminile. Prima di tutto, per l’autore, la donna
non è capace di essere protagonista della Storia. Non è capace di poetare, di
lavorare i campi, di avere un’attività artigianale. L’unico scopo è quello di
portare al male. L’Anonimo rifiuta, immaginiamo scientemente, di attribuire alla
donna la caratteristica che le appartiene fin dalla notte dei tempi. Cioè la
capacità di donare la vita, di avere figli. Un pregio indiscutibile, un
elemento che la rende assoluta garante della salvezza della specie umana. Un
tema assolutamente ignorato dal poemetto. Questo ultimo aspetto è l’epifania
definitiva della cultura in cui l’autore è cresciuto e ha nutrito la sua
conoscenza. Una cultura che tende ad escludere ogni ruolo sociale del sesso debole.
Una cultura che rifiuta di considerare la donna una persona degna di vivere in
un consesso maschile. Difficile ora concludere con un giudizio sull’opera.
Abbiamo detto che i “Provebia”, come molti altri scritti a loro contemporanei,
sono fondamentali per capire l’evoluzione del linguaggio dal Volgare
all’Italiano, come sarà quello, per fare un esempio, di Dante. Sono anche
strumento per conoscere come era pensata la vita fra uomini e donne in quei
tempi. Altro dire, però, quale era realmente. E’ facile pensare che nel
Medioevo la donna era sì pensata come sottomessa al maschio, ma avesse comunque
un ruolo fondamentale all’interno non solo della famiglia ma anche delle
istituzioni comunali e signorili. Insomma le donne erano spesse volte facitrici
dei propri destini e di quelli altrui. Un esempio è Costanza di Altavilla, membro
della casa regale Normanna che istituì il regno di Palermo e moglie e madre di
due imperatori del Sacro Romano Impero: Enrico VI e Federico II di Svevia. Ma
ci sono altre solo donne famose e importanti da ricordare: Caterina da Siena,
Chiara d’Assisi fra le religiose. Insomma il poemetto “Proverbia” è si il
testimone di una cultura e una società di pregiudizi, ma non tutta la comunità
e la storia medievale può essere spiegata in base all’assunto che la donna era
destinata a un destino di segregazione. La storia, pian piano, da alla donna un
destino da protagonista, e forse proprio questo fatto spinge alcuni uomini ad
usare la poesia non per osannarla, come faranno gli stilnovisti, ma per
denigrarla.
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