sabato 8 agosto 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 

NOTE A MARGINE DELL’ARTICOLO 55 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione”

L’articolo 55 è il primo della Seconda Parte della Costituzione Repubblicana, quella dedicata alle regole dell’ordinamento istituzionale e del suo funzionamento. Insomma la seconda parte della nostra Carta Fondamentale è interamente dedicata a regolamentare il funzionamento del nostro apparato statuale, almeno nelle sue linee principali. Per quanto riguarda il Parlamento la legislazione costituzionale e maggiormente dettagliata rispetto a quella dedicata ad altri organi istituzionali, il cui regolarsi è demandato maggiormente a leggi ordinarie e regolamenti. Le due Camere invece hanno un compito istituzionale importantissimo. Sono il cuore del nostro stato. Fanno le norme, le leggi, e controllano quello che viene definito il potere esecutivo, cioè il governo. Sia chiaro anche le due camere del Parlamento funzionano anche attraverso leggi e regolamenti. Il regolamento delle due camere è importantissimo perché detta norme importantissime  per la formazioni di leggi, regolamenta il cosiddetto ius condendo, il farsi delle norme. Ma è la Costituzione il punto di riferimento stabile, è la Costituzione che traccia la linea che deputati e senatori devono seguire per svolgere con adeguato vigore e onore le loro mansioni. Al momento fra deputati e senatori si contano ben 1000 rappresentanti del popolo. Un numero consistente che la Legge Costituzionale pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019 vuole sensibilmente ridurre. La legge in questione, a norma della Costituzione, non è ancora entrata in vigore, perché deve essere confermata, come prevede l’articolo 138 Secondo Comma della nostra Carta Fondamentale, da una consultazione popolare, un referendum, che si terrà il 20 e 21 settembre 2020. Solo se prevarrà il “si”, cioè se gli Italiani sceglieranno di approvare la riduzione del numero dei propri rappresentanti nel consesso legislativo nazionale, la camera dei deputati sarà composta da 400 onorevoli invece che da 630 e il senato sarà composto da 200 senatori elettivi, nulla cambierà per quelli a vita, al posto di 315. Insomma il nostro parlamento, se la legge costituzionale in oggetto verrà confermata da noi elettori, avrà un numero di componenti pari a 515 (più i senatori a vita) al posto di 945. Una bella sforbiciata! Cosa vuol dire? Ovviamente i promotori puntano sul sottolineare che vi sarà una considerevole riduzione dei costi di funzionamento del nostro apparato legislativo. In più, si continua a sottolineare, un Parlamento più snello dovrebbe anche funzionare con maggiore efficienza e celerità. È inutile dire che nei fatti la quasi totalità dei partiti ha votato a favore della riforma, in più i sondaggi rivelano che questa proposta ha un consenso diffuso nella cittadinanza. Le critiche forti alla cosiddetta “casta”, cioè a quella comunità di persone legata alla politica e che vive di essa, ha fatto maturare la convinzione che è un bene la drastica sforbiciata dei parlamentari. Ma gli effetti della riforma sono ancora da valutare. Se è oggettivamente vero che altri paesi hanno un numero di rappresentanti del popolo ben minore al nostro, ad esempio una potenza democratica e un paese vasto come gli USA hanno “solo” un numero di eletti pari a  535, di cui 435 fanno parte della Camera dei Rappresentanti, paragonabile al nostro Montecitorio, e cento sono i senatori. Insomma se si va a guardare i dati si può notare che la riforma che l’Italia vorrebbe approntare per sé renderebbe simile, per numero di componenti, il nostro parlamento a quello statunitense, anche se ad onor del vero la riforma costituzionale che voleva fare Matteo Renzi, poi bocciata dal voto popolare, era maggiormente conforme al modello americano, con un numero di cento senatori, come in America, e quattrocento deputati.

Cosa concludere? La nostra è una repubblica parlamentare. I deputati e senatori sono chiamati a svolgere molteplici compiti. Le commissioni parlamentari hanno un ruolo importantissimo per definire il contenuto delle leggi e, anche, per tracciare la linea politica dello stato. Una riduzione del numero dei parlamentari potrebbe, ribadisco potrebbe non può, rendere più difficile il lavoro di eventuali commissioni. Pensiamo al ruolo importantissimo svolto nelle passate legislature dalle Commissioni di Inchiesta, ad esempio sulla mafia o sul terrorismo. Un ruolo prezioso al dibattito sulle stesse riforme costituzionali hanno avuto le varie commissioni bicamerali (vuol dire composte in egual numero da deputati e senatori) sulle riforme. Una forte riduzione del numero dei parlamentari potrebbe portare a due scelte: o ridurre drasticamente il numero delle commissioni monocamerali e bicamerali, oppure permettere che un singolo deputato faccia parte di più commissioni. Questa è la lampante prova di come la scelta di ridurre il numero dei rappresentanti del popolo non è solo una questione di sedie, che siano troppe o troppo poche, ma è anche una delicata questione di equilibrato funzionamento delle nostre istituzioni. Bisogna ridisegnare tutto il nostro ordinamento per renderlo coerente al riassetto del numero dei parlamentari. È necessario che si riscrivano, in tutto o in parte, i regolamenti di entrambe le camere, che sono strumento fondamentale per un’efficace azione organizzativa che rende possibile la vita stessa dell’organo legislativo dello stato. Noi cittadini dobbiamo essere consapevoli che il dire “si” al referendum di settembre vuol dire ridisegnare l’assetto istituzionale della nostra Repubblica. Questo non vuol dire invitare a votare “no”, ma vuol dire pensare assieme a una democrazia più funzionale, più partecipata, in cui il ruolo attivo dei cittadini sia ancora  più fondamentale di quello  di adesso importante. Perché in qualsiasi paese democratico, la pluralità, la libertà e l’esercizio parsimonioso del potere politico non è appannaggio del recinto del parlamento. La democrazia è nella popolazione. Il ruolo attivo della cittadinanza è strumento fondamentale per dare nuova linfa al sistema statuale. Allora è tempo che tutti, dico tutti, dal più grande politico, dal presidente del consiglio all’ultimo cittadino, che sono io, ci adoperiamo per vivere compiutamente il nostro dovere di compartecipazione attiva alla vita pubblica. Devono essere dibattito pubblico tutte le questioni più rilevanti. Poi spetterà all’organo competente tirare le fila, e prendere le decisioni finali. Azzardo. Lo stato emergenziale di questi giorni, l’uso da parte del presidente del consiglio della decretazione, può stimolare una discussione sul ridisegnarsi della discussione dialettica fra Governo e Organi Parlamentari. Si potrebbe ampliare il potere esecutivo, senza renderlo avulso dal controllo, attraverso un confronto dialogico chiaro fra le due parti. In quest’ottica i parlamentari avrebbero la necessità di votare meno “leggi provvedimento”, come vengono definite quelle norme che hanno la forma di una legge bicamerale ma che in sostanza hanno effetti di tipo amministrativo. Questo arricchirebbe la loro capacità di controllo sul sistema nazionale, il parlamento ricordiamo controlla molti ambiti dello stato dalle regioni, al potere giudiziario, cioè i giudici e tutto l’apparato giudiziario, attraverso l’elezione dei componenti laici del Consiglio Superiore della Magistratura. Allora è necessario rimodulare il rapporto fra i poteri dello stato, quello che gli anglosassoni chiamano “balance”. Dirlo può sembrare facile. Sono consapevole che in realtà è difficilissimo. Vuol dire avere il compito di cambiare la nostra Repubblica, senza mettere in discussione i principi cardine su cui si poggia e che sono iscritti nella nostra Carta Costituzionale. La riduzione dei deputati può essere un inizio di cambiamento radicale dello stato. Ma potrebbe essere un drammatico fallimento. Bisogna dircelo! Bisogna avere la consapevolezza che il referendum a settembre di quest’anno è e deve essere solo una tappa verso l’Italia democratica del futuro. Come diceva un giornalista americano: good like … a tutti noi.

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