sabato 22 agosto 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 

NOTE A MARGINE DELL’ARTICOLO 67 DELLA COSTITUZIONE

“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”

È necessario mettere in evidenza che questo articolo della Costituzione Italiana è nella sostanza oggetto di un ampio dibattito fin dal 1994 quando Silvio Berlusconi “scese in campo”, fondò il partito Forza Italia. Con l’avvento del cavaliere, e della sua vis coinvolgente, ci fu chi asserì che il voto che il singolo parlamentare riceveva dall’elettorato era indubbiamente il frutto della capacità di leadership del leader politico del partito di cui faceva parte. Per semplificare il seggio di un parlamentare Pinco Pallo, aderente a Forza Italia, era il frutto della capacità di convincere l’elettorato propria di Silvio Berlusconi. Lo stesso valeva per gli eletti della coalizione di centro destra. Questo dibattito è ormai vecchio di quasi trent’anni. Ma ancor oggi, con profili tematici ed argomentativi diversi, è al centro della questione politica. Anche il Movimento Cinque Stelle, con argomentazioni assolutamente diverse rispetto al Centro destra, reputa il vincolo di mandato vetusto. La differenza di opinione fra Forza Italia e M5S in materia è fortemente diversa. Mentre per Forza Italia, Lega ed alleati il potere di delega e di delegato è affidato al leader. È prima Berlusconi, oggi Matteo Salvini, ha essere l’incarnazione della volontà popolare. Per il M5S l’argomentazione contro la sostanza del significato dell’articolo 67 della nostra legge fondamentale poggia su altri temi. Il leader non esiste. Ogni rappresentante del popolo è solamente un portavoce. La volontà politica della associazione politica è condivisa ed è decisa collettivamente. La base decide cosa fare, cosa votare in parlamento, e il parlamentare, per questo denominato “solo” portavoce, esegue la volontà dei più. Rimane il fatto che tale convinzione urta con il principio “Senza vincolo di mandato”. Se un parlamentare, è il caso della coalizione di destra, non può votare se non quello che dice il capo, o il capitano (come viene chiamato Matteo Salvini dal popolo di destra), il vincolo di mandato, la sudditanza ai voleri altrui e la non libertà di voto alle camere sussiste. Lo stesso vale per la tesi del M5S, se un parlamentare è vincolato alle decisioni prese da chi discute nel “blog”, il portale internet del movimento, la sua libertà di mandato viene a cadere.

Detto questo anche gli altri partiti impongono decisioni ai loro singoli rappresentanti nelle aule parlamentari. Anche il PD, ad esempio, impone una linea politica, mettendo il singolo nella difficile scelta di aderirvi o uscire dall’organizzazione politica. La scelta fra restare o rimanere coerenti a una propria convinzione su una decisione da prendere politicamente è comune a tutti coloro che fanno politica fino al punto di diventare rappresentanti del popolo. Ogni partito politico ha da sempre utilizzato la diffida estrema dell’espulsione per censurare l’azione di chi si ponesse contro la volontà collettiva formata all’interno della organizzazione politica di riferimento. La novità di fondo è il tentativo di rendere questa sostanziale punizione politica, in una drammatica censura istituzionale. Mi spiego eliminare o modificare sostanzialmente l’articolo 67 della Costituzione Italiana vuol dire permettere a una formazione politica non solo di espellere dal proprio interno il dissenziente, cosa concessa dalla prassi e, anche, dalla giurisprudenza attuale pur con una qualche eccezione, ma anche di far decadere dal seggio istituzionale il dissenziente. Questo è detto con termine anglofono “recall”, cioè richiamo e richiamata, chi non si adegua alla volontà collettiva del partito o del Movimento viene revocato dalla sua carica attraverso un voto collettivo. Si pensa che a farlo debba essere il collegio elettorale che lo ha espresso quale loro rappresentante. Se un deputato o senatore è stato eletto nel collegio Vallala si pensa che debbano essere i votanti al seggio di Vallala a votare per farlo decadere. Questa è una delle ipotesi caldeggiata dal m5s. Ora la Costituzione attualmente in vigore in Italia non solo non prevede tale istituto, ma addirittura considera un diritto proprio del parlamentare e una prerogativa volta a garantire l’autonomia delle camere elettive il principio della assenza del vincolo di mandato. Che vuol dire non solo che il singolo deputato e senatore non rappresenta solo coloro che lo hanno nei fatti votato, ma l’intera nazione, ma anche che il suo mandato non può essere revocato se non in caso di scioglimento della Camera a cui appartiene o per decisione presa dall’assemblea in cui è stato eletto, in virtù di un altro principio costituzionale che è l’autodichia, cioè il principio per cui solo l’assemblea parlamentare può decidere, utilizzando propri organi giudicati, il decadimento della carica del singolo eletto e con voto finale dell’intera assemblea, ovviamente in ottemperanza alle leggi repubblicane alle quali anche l’ufficio di presidenza delle camere è ovviamente chiamato a sottostare. Allora è intuibile che il mandato parlamentare è un diritto dovere dell’eletto e anche una forma di tutela dell’elettorato. Da una parte il rappresentante del popolo ha una tutela giuridica, e che tutela la Costituzione, di fronte a chi gli nega il diritto di avere una coscienza e una politica autonoma dalla volontà dell’organizzazione politica di cui appartiene e dall’altra gli elettori avranno la convinzione che il singolo deputato agisca secondo libertà e non secondo i dettami dei vertici. È necessario evidenziare che questa norma non ha scongiurato il fatto che la politica si sia creata una fortezza d’orata, consapevolmente o inconsapevolmente chi lo sa, avulsa dalla realtà giornaliera della cittadinanza. In forza di questo dato di fatto sono comprensibili le istanze, come quella del M5S ad esempio, che vorrebbero la forte riduzione del potere rappresentativo e la maggiore vis di istituti di partecipazione diretta di tutti alla decisioni della nazione. Però la democrazia diretta, se utilizzata in maniera disordinata e senza limiti, porta alla dittatura. È bene ricordarlo. I Soviet, nel 1917, erano una forma di democrazia diretta.. Sappiamo cosa è diventa l’URRS.

La democrazia diretta è uno degli elementi fondamentali della nostra Repubblica. I referendum, le mozioni popolari, le proposte di legge popolare sono istituti fondamentali e previsti ed ordinati dalla Carta del 1948. Questo indica che non bisogna demonizzare la democrazia partecipata, anzi al contrario bisogna renderla fondamento delle nostre istituzioni pubbliche. I funzionari dello stato, i politici, i magistrati devono ascoltare ciò che pensa la cittadinanza e conformare la propria opera non solo alle leggi, cosa indefettibile, ma anche alle esigenze reali delle persone comuni. Ma bisogna utilizzare la ponderazione, bisogna pensare a governare i destini del nostro paese con quello che la letteratura giuridica anglosassone chiama “balance”, che vuol dire da un lato il rapporto sinergico e rispettoso del compiti propri di tutte le istituzioni nazionali, ma anche il riconoscimento che la volontà popolare è un organo dello stato, cioè serve a far muovere le istituzioni, e per questo motivo deve diventare non solo la cassa di risonanza del popolo ma anche reale protagonista delle decisioni pubbliche. È una sfida complessa, che va accettata, per costruire una democrazia efficiente e allo stesso tempo partecipata fondata sui saldi principi della Costituzione Italiana emanata nel 1948.

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