mercoledì 31 gennaio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 26

ARTICOLO 26

“L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.”

Continua la pubblicazione di "racconto a mano libera" degli articoli della Costituzione Italiana in occasione del settantennale della promulgazione della legge fondamentale della nostra Repubblica.
L’articolo 26 della Costituzione Italiana pone un paletto fondamentale nella disciplina dei rapporti con gli altri stati. Non è possibile che un cittadino italiano sia consegnato ad una autorità straniera giudicante o di polizia senza che vi sia un accordo internazionale che regolamenti l’atto. Per autorizzare l’estradizione di un cittadino italiano bisogna che ci sia stato un trattato in materia fra l’Italia e la nazione in questione, oppure occorre che l’atto sia previsto da trattati plurinazionali ai quali sia l’Italia che la controparte statuale abbiano aderito. Non solo, ma stante l’accordo di diritto internazione, abbisogna che un giudice italiano costati che la richiesta proveniente dall’estero abbia un fondamento giuridico sia in base agli accordi internazionali, sia in base alle leggi dello stato richiedente e, soprattutto, che sia giustificata dai principi fondamentali dello Stato Italiano. Occorre a questo punto ricordare che è assolutamente vietato concedere l’estradizione di un cittadino italiano, ma anche di uno straniero che si trova nel nostro paese, se i giudici stranieri intendono giudicarlo in base a una legge che prevede come strumento di espiazione della pena la morte. Su questo la Costituzione, come si può chiaramente leggere nell’articolo 27 ultimo comma della stessa, è chiarissima. La pena di morte non è ammessa nel nostro ordinamento. Punire con la perdita della vita è considerato un atto barbaro, che lede il diritto all’esistenza proprio di ogni essere umano. L’Italia non può concedere l’estradizione a stati che puniscono con la morte. E’ successo nel corso degli anni che il nostro paese abbia avuto anche aspre contese con gli Stati Uniti d’America. Alcuni stati federali che fanno parte della potenza americana, da decenni alleata, prevedono la pena di morte. Dei nostri concittadini sono stati processati negli USA, rischiando la pena capitale, lo stato italiano ha sempre resistito alle richieste americane di estradizione, con esiti controversi, ma che comunque hanno reso lampante  che il nostro ordinamento è sensibile al tema della vita come valore e di conseguenza ha gli strumenti per resistere anche alle ingerenze di una superpotenza amica. Il secondo comma dell’articolo 26 sancisce l’impossibilità assoluta, a prescindere da accordi e da legami internazionali, di estradare una qualsiasi persona per reati politici. Il reato d’opinione politica non è contemplato nel nostro ordinamento. Chi rischia la galera nel proprio paese per come pensa è visto dall’Italia non come imputato, ma come paladino di libertà e di coerenza. Nel mondo ci sono tanti uomini e tante donne che hanno subito l’onta della prigione solo perché hanno avuto il coraggio di alzare forte la loro voce contro i soprusi e gli atti dittatoriali dei propri governi. Se riescono a giungere nel nostro paese questi valorosi devono essere protetti. L’Italia non deve e non può, per motivi etici e per i valori democratici di cui il nostro ordinamento è latore, autorizzare l’estradizione di chicchessia verso paesi in cui il potere di polizia e politico è prevaricante. Luoghi in cui si applica la tortura come strumento di coercizione. Nessuno può essere stradato se rischia di subire pene di tipo corporale. Insomma l’articolo 26 impone norme di civiltà indirizzate agli organi statuali. E’ lo stato, attraverso l’ordinamento giudiziario e il governo, a dover vegliare al fini di impedire l’estradizione in paesi non liberali e non democratici. Ma allo stesso tempo è un faro, è un punto di riferimento, per tutti i cittadini e gli uomini che lo leggono. Sapere che la costituzione, pur rispettosa dell’ordinamento internazionale, è un baluardo invalicabile contro ogni violenza e prevaricazione, contro ogni atto contrario allo spirito umanitario, deve essere allo stesso tempo fonte d’orgoglio nazionale e sprone per rendere i principi umanitari cogenti e presenti anche nella vita quotidiana. La solidarietà verso le persone che fuggono da guerre e violenze deve essere un obbligo morale per tutti noi.


Testo di Giovanni Falagario

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 26

ARTICOLO 26

“L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.”

Continua la pubblicazione di "racconto a mano libera" degli articoli della Costituzione Italiana in occasione del settantennale della promulgazione della legge fondamentale della nostra Repubblica.
L’articolo 26 della Costituzione Italiana pone un paletto fondamentale nella disciplina dei rapporti con gli altri stati. Non è possibile che un cittadino italiano sia consegnato ad una autorità straniera giudicante o di polizia senza che vi sia un accordo internazionale che regolamenti l’atto. Per autorizzare l’estradizione di un cittadino italiano bisogna che ci sia stato un trattato in materia fra l’Italia e la nazione in questione, oppure occorre che l’atto sia previsto da trattati plurinazionali ai quali sia l’Italia che la controparte statuale abbiano aderito. Non solo, ma stante l’accordo di diritto internazione, abbisogna che un giudice italiano costati che la richiesta proveniente dall’estero abbia un fondamento giuridico sia in base agli accordi internazionali, sia in base alle leggi dello stato richiedente e, soprattutto, che sia giustificata dai principi fondamentali dello Stato Italiano. Occorre a questo punto ricordare che è assolutamente vietato concedere l’estradizione di un cittadino italiano, ma anche di uno straniero che si trova nel nostro paese, se i giudici stranieri intendono giudicarlo in base a una legge che prevede come strumento di espiazione della pena la morte. Su questo la Costituzione, come si può chiaramente leggere nell’articolo 27 ultimo comma della stessa, è chiarissima. La pena di morte non è ammessa nel nostro ordinamento. Punire con la perdita della vita è considerato un atto barbaro, che lede il diritto all’esistenza proprio di ogni essere umano. L’Italia non può concedere l’estradizione a stati che puniscono con la morte. E’ successo nel corso degli anni che il nostro paese abbia avuto anche aspre contese con gli Stati Uniti d’America. Alcuni stati federali che fanno parte della potenza americana, da decenni alleata, prevede la pena di morte. Dei nostri concittadini sono stati processati negli USA, rischiando la pena capitale, lo stato italiano ha sempre resistito alle richieste americane di estradizione, con esiti controversi, ma che comunque hanno reso lampante  che il nostro ordinamento è sensibile al tema della vita come valore e di conseguenza ha gli strumenti per resistere anche alle ingerenze di una superpotenza amica. Il secondo comma dell’articolo 26 sancisce l’impossibilità assoluta, a prescindere da accordi e da legami internazionali, di estradare una qualsiasi persona per reati politici. Il reato d’opinione politica non è contemplato nel nostro ordinamento. Chi rischia la galera nel proprio paese per come pensa è visto dall’Italia non come imputato, ma come paladino di libertà e di coerenza. Nel mondo ci sono tanti uomini e tante donne che hanno subito l’onta della prigione solo perché hanno avuto il coraggio di alzare forte la loro voce contro i soprusi e gli atti dittatoriali dei propri governi. Se riescono a giungere nel nostro paese questi valorosi devono essere protetti. L’Italia non deve e non può, per motivi etici e per i valori democratici di cui il nostro ordinamento è latore, autorizzare l’estradizione di chicchessia verso paesi in cui il potere di polizia e politico è prevaricante. Luoghi in cui si applica la tortura come strumento di coercizione. Nessuno può essere stradato se rischia di subire pene di tipo corporale. Insomma l’articolo 26 impone norme di civiltà indirizzate agli organi statuali. E’ lo stato, attraverso l’ordinamento giudiziario e il governo, a dover vegliare al fini di impedire l’estradizione in paesi non liberali e non democratici. Ma allo stesso tempo è un faro, è un punto di riferimento, per tutti i cittadini e gli uomini che lo leggono. Sapere che la costituzione, pur rispettosa dell’ordinamento internazionale, è un baluardo invalicabile contro ogni violenza e prevaricazione, contro ogni atto contrario allo spirito umanitario, deve essere allo stesso tempo fonte d’orgoglio nazionale e sprone per rendere i principi umanitari cogenti e presenti anche nella vita quotidiana. La solidarietà verso le persone che fuggono da guerre e violenze deve essere un obbligo morale per tutti noi.


Testo di Giovanni Falagario

NAZIONALE IN CRISI



SARA' PRIMAVERA?
L'Italia del calcio non andrà ai mondiali che si svolgeranno quest'estate in Russia. Una debacle che ha un solo precedente nella storia del football. Si sta pensando di riformare affondo il settore sportivo. Il CONI sta pensando di commissariare per lungo tempo la lega italiana gioco calcio in modo da riformarla profondamente. L'idea è di ripartire dal settore giovanile. Si pensa di creare una struttura composta da almeno 200 strutture federali volte alla preparazione dei bambini al gioco del pallone. Ora sono solo 30 sparse per tutto il paese. Insomma una struttura che faccia da supporto e da punto di riferimento per le migliaia scuole calcio private distribuite nel paese. Un sistema federale che non solo insegni a giocare, ma che insegni ad insegnare a giocare, insomma una struttura in grado di formare una generazione di allenatori specializzati nella cura dei "pulcini" (così si chiamano i piccolissimi che si approcciano al pallone). L'obbiettivo è quello di rinfoltire le "primavere", le squadre giovanili dei club, di ragazzi preparati, che sappiano giocare al pallone e soprattutto con il passaporto italiano, cioè in prospettiva futuri membri della nazionale. Il problema è che ci vorrebbe anche lo "ius soli", cioè dare la possibilità ai figli dei migranti di giocare da italiani nei nostri stadi come è avvenuto in Francia e Germania. Questa scelta ha reso possibile che queste due squadre vincessero insieme quattro campionati del mondo e diverse coppe europee in vent'anni. Un gesto che certo farebbe storcere il naso a chi vota Lega e Forza Italia. Chi è di destra difende la razza italiana, come ha detto il candidato di destra alla presidenza della regione lombardia. Rimane il fatto che l'accoglienza potrebbe essere una soluzione non solo ai problemi di integrazione sociale, ma anche ai problemi del calcio nostrano. Sarebbe il caso che le squadre di serie A si imponessero di far giocare componenti della primavera anche nelle squadre superiori, al fine di poter far giocare italiani aggirando le norme sulla libera circolazione dei lavoratori stranieri imposte dall'Europa. Sarebbe il caso che il calcio si rinverdisse, si poggiasse sulle squadre della primavera, per poter scongiurare il pericolo che la nazionale italiana non sia mai più competitiva. Ridurre le squadre professionistiche, ridurre il numero di squadre che giocano in serie A e B, al contempo rendere stabile e duraturo il legame fra club e giovanili, imponendo un investimento costante e proficuo nel settore, potrebbe il modo per risollevare dalla crisi l'Italia del pallone.
testo di Giovanni Falagario

DISABILITA' E POLITICA



CHIAMA ALL'IMPEGNO
La chiama, in gergo parlamentare, è l'appello nominale in cui si invita i senatori e deputati a votare i loro rispettivi presidenti. La chiama, l'appello, che la Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap (FISH) è però diverso. E' una richiesta a discutere delle questioni legate alla disabilità. Una richiesta di mettere al centro della campagna elettorale anche i diritti e i bisogni delle persone disabili. I temi d'affrontare sono tanti. Il diritto al lavoro spesso negato. L'istituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza. Il bisogno di approvare una legge sul "dopo di noi", una legge che garantisca alle persone non autosufficienti una vita decorosa anche quando e se i propri genitori e i propri familiari dovessero mancare. Insomma la FISH vorrebbe che le forze politiche mettessero anche nei loro programmi cosa farebbero per le persone in difficoltà se andassero al governo. Non si parla di una fetta piccola di popolazione. I malati cronici, coloro che sono affetti da mali che producono un'invalidità permanente, sono diversi milioni nel nostro paese. Sarebbe il caso che i partiti pensassero a una reale linea politica da tenere in questo delicatissimo ambito della vita umana. Se si parla di soldi, poi, dobbiamo notare che il business, scusate il termine pochissimo opportuno, legato alla cura e al supporto fisico e morale di queste persone arriva al miliardo di euro. Un bilancio che grava, in una parte non certo irrisoria, sul bilancio dello stato. Le leggi che aiutano le persone disabili sono spesso lacunose e contraddittorie. Le pensioni di cui beneficiano i malati cronici gravi sono spesso irrisorio, si parla in media di 280 Euro, una cifra di gran lunga inferiore al pur basso reddito medio nazionale. Cambiare questo stato di cose è possibile. E' possibile pensare al risanamento finanziario e morale del paese pensando a rimodulare le politiche di supporto alla disabilità. Le forze politiche avranno il coraggio di mettere al centro la questione disabilità? Avranno il coraggio di costruire una sanità che combini il virtuoso contenimento della spesa con il supporto quotidiano delle persone che non sono autosufficienti? I politici avranno la forza, in campagna elettorale, di presentare un programma di governo che metta anche questa questione sociale fra i nodi da sciogliere necessariamente? L'opinione pubblica sarà in grado di raggiungere la maturità necessaria a comprendere che la questione handicap non riguarda pochi, ma è una questione di carattere nazionale? E' quello che si augura la FISH che chiama all'appello tutte le forze politiche. La campana suona per tutti, staremo a vedere chi risponderà all'appello.
testo di Giovanni Falagario

martedì 30 gennaio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 25

ARTICOLO 25

“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.”

Continua il viaggio di "Racconto a mano libera" nella costituzione italiana per celebrare il settantesimo anniversario della sua promulgazione. Oggi pubblichiamo l'articolo venticinque.
L’articolo 25 della costituzione afferma una delle più importanti garanzie costituzionali. Per garantire l’imparzialità del giudice e del giudizio che a lui è affidato, impone che sia la legge a stabilire l’individuazione dell’organo giudicante. Questo principio è volto ad impedire che non sia l’arbitrio dell’amministrazione statale ad assegnare il magistrato che è chiamato a districare una questione giuridica, ma che lo sia una norma generale a determinarlo. Il cittadino ha la garanzia che l’iter processuale non sarà preordinato e indirizzato secondo interessi contingenti di qualcuno, ma procederà in base a indicazioni normative che saranno seguite nella stessa maniera a prescindere da chi sia il soggetto che è chiamato a rispondere dei propri gesti in tribunale. Insomma il magistrato non può essere scelto. L’organo giudicante è prestabilito precedentemente alla apertura della vertenza e in base a criteri di legge oggettivi. Il “giudice naturale”, come lo definisce l’articolo 25 della Costituzione, è il magistrato, che in base a criteri  stabiliti dalla legge, chiunque abbia commesso un reato o abbia una vertenza civile da sostenere in un determinato luogo del paese dovrà incontrare e riconoscere quale supremo dispensatore della verità giuridica. Insomma questo principio è garanzia di imparzialità. Nessuno si può scegliere il giudice. Nessuno può decidere se sia preferibile un magistrato o un altro per sciogliere le controversie legali. Solo la legge decide come un processo avviene e chi sia l’autorità preposta a presiederlo. L’unico organo che ha la competenza a designare i magistrati per i singoli uffici e per le procure, insomma a decidere dove un giudice debba lavorare, è il Consiglio Superiore della Magistratura. Questo è l’organo di governo dei giudici, un organo collegiale presieduto dal presidente della Repubblica, che ha l’alto compito di coordinare e governare il lavoro della magistratura. Ma il CSM non può e non deve usare la propria autorità per trasferire magistrati che operano in un determinato processo. Il suo compito è distribuire in maniera coerente sul territorio i magistrati in modo da non creare in alcuni uffici delle carenze di organico. Il CSM può operare, su richiesta del guardasigilli, il trasferimento di un giudice per motivi di incompatibilità ambientale, ma deve essere una misura eccezionale e da operarsi per motivi gravissimi. Il suo compito è principalmente quello di rendere più efficace il potere giudiziario attraverso un’opera di coordinamento. Il secondo comma dell’articolo 25 è un principio fondamentale di correttezza e di garanzia giuridica. Chiunque, che sia cittadino italiano o straniero, non può essere chiamato in giudizio e punito in forza di una norma entrata in vigore dopo che ha commesso il fatto. Una norma penale non può avere efficacia retroattiva. La sua vis giuridica è effettiva solo al momento della sua promulgazione. Questo principio di non retroattività delle norme vale per tutte le leggi dello stato. Di buona regola una norma non deve regolare situazioni giuridiche avvenute prima della sua entrata in vigore. E’ duopo precisare, però, che per quanto riguarda le leggi amministrative, tributarie e civili questo principio, la non retroattività della legge, può essere derogato, e abitualmente viene derogato. La Costituzione invece tassativamente esclude che una legge penale, una legge che punisce il cittadino che la viola, possa avere valore retroattivo. E’ un principio fondamentale nessuno deve essere punito se al momento in cui ha compiuto l’atto la legge non lo considerava reato, e poco importa se una legge successiva ha stabilito che lo stesso gesto fosse considerato atto da censurare penalmente. Nessuna persona può essere punita in forza di una norma susseguente temporalmente al gesto compiuto. Questo principio di civiltà è fondamentale. Chiunque commette un reato penale è comunque un cittadino, una persona, un uomo o una donna. Ha diritto a vedersi protetto di fronte al potere prevaricante dello stato che ti costringe alla cattività e alla reclusione. Lo stato di prigionia o la punizione in qualsiasi forma deve essere giustificata da una coerenza logica trasparente. Chiunque è chiamato a rispondere dei propri atti deve essere garantito nella sua integrità morale e fisica. Così nessuno può essere indicato quale “delinquente” se non ha commesso atto che le norme vigenti al momento considerano reato. Allo stesso modo nessuno può essere imprigionato o sottoposto a misure di sicurezza se non sono previste dalla legge. Nessuno può subire la detenzione carceraria come arbitrio delle autorità statuali. Ogni arresto, ogni detenzione, deve essere prevista per legge. A questo proposito la “detenzione preventiva, l’arresto prima di una sentenza giudiziaria definitiva, è da tempo oggetto di vivaci discussioni. Questa è prevista dalla legge. E’ prevista per poter garantire la sicurezza pubblica ed evitare che l’imputato inquini le provi con un suo comportamento illegittimo. Rimane però il dato che debba essere usata con estrema parsimonia. Il magistrato non deve abusarne. Deve procedere al fermo quando è tassativamente necessario. Di conseguenza non è solo la legge, ma è anche la delicata valutazione dell’organo giudiziario a valutare la necessità o meno dell’arresto. Per evitare abusi la norma ha creato un ufficio, interno al tribunale, volto a stabilire la congruità dell’arresto preventivo. Questo ufficio si chiama “tribunale della libertà”, a cui il fermato può appellarsi. Insomma la normativa, adempiendo ai dettami costituzionali, sta cercando di rendere il meno arbitrario possibile il fermo giudiziario. Non è un solo magistrato a decidere, ma più organi giudiziari, anche collegiali. La certezza che la magistratura operi con competenza e imparzialità è necessaria per poter affrontare un giudizio giudiziario che per qualsiasi cittadino è fonte di preoccupazione e angoscia. La magistratura deve, con la sua imparzialità  e competenza, rendere una sensazione di fiducia e serenità a chiunque si trovi ad avere una vertenza giudiziaria.

Testo di Giovanni Falagario

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 23



ARTICOLO 23
"Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"
L'articolo 23 della Costituzione Italiana ricalca un principio che è proprio della cultura giuridica anglosassone. "No taxation without representation" era il motto delle tredici colonie inglesi che in America si ribellarono al trono britannico dando il via alla rivoluzione che si concluse con la nascita degli Stati Uniti d'America. Un principio che ha incardinato tutto il susseguente diritto liberale occidentale. Nessuno può essere sottoposto all'arbitrio del potere statuale. Ogni prestazione di tipo monetario, lavorativo o di altro genere, ad esempio la testimonianza davanti a una corte giudiziaria, che lo stato impone al cittadino deve essere prevista da una norma. Norma votata dal parlamento che è composto dai rappresentanti del popolo. Insomma ogni limitazione della libertà personale e patrimoniale deve essere giustificata da un atto normativo voluto da persone regolarmente elette. Questa norma costituzionale vuole rendere impossibile il sopruso. Lo stato non può e non deve privare i cittadini delle proprie ricchezze, materiali e morali, senza che non vi sia un chiaro scopo di interesse generale da perseguire indicato da una norma. Siamo lontani dagli oscuri tempi in cui lo stato poteva arbitrariamente costringere un cittadino a compiere lavori coatti. Siamo ben lungi dalla cultura medievale in cui il signore locale imponeva al suddito corveé e vessazioni inimmaginabili. Lo stato non può e non deve imporre prestazioni ingiuste. Se il parlamento attua una politica tributaria vessatoria verso il popolo, sarà punito attraverso il voto generale. I rappresentanti della nazione che hanno imposto gabelle ingiuste non saranno più rieletti, almeno questo si spera. Insomma lo stato è anch'esso sottomesso alla legge. Anche la Repubblica ha nella normativa nazionale il limite oltre il quale non può andare. Nessuna autorità statuale può imporre prestazioni lavorative, soprattutto se non retribuite o non compensate adeguatamente, senza che queste siano previste dalla legge e senza che vi siano motivazioni reali e inoppugnabili legati al bene superiore della nazione. In base a questo principio lo stato può imporre la leva, cioè il servizio militare obbligatorio, ai propri cittadini. Il governo della nazione può chiamare alle armi l'intera cittadinanza in caso di guerra e di pericolo per la nazione. Per questo lo stato può chiedere, se lo ritiene necessario, l'aiuto solidale di tutti davanti a gravi eventi naturali. Per questo lo stato può imporre l'espletamento di doveri civici. Ogni atto del cittadino imposto dallo stato deve essere teleologicamente motivato, cioè ogni gabella o lavoro coscritto deve avere una motivazione chiara e supportata quale compimento dei valori propri della Costituzione. Questo è uno dei principi più importanti, volto a garantire un rapporto trasparente tra cittadino e stato. Tutto ciò che è attività lavorativa, tutto ciò che è lavoro, tutto ciò che è un doveroso contributo alla cresciuta della nazione deve essere inciso fra le norme del nostro stato, votate da un'assemblea di "pari", cioè di cittadini, eletti da cittadini e chiamati a rappresentare tutti i cittadini, quale è il nostro parlamento.
testo di Giovanni Falagario

DIESEL E CAVIE



LE CAVIE
Fa impressione la notizia che la Volkswagen, la Daimler e la BMW, case automobilistiche tedesche, abbiano utilizzato cavie umane per testare gli effetti del biossido di carbonio. Per provare che i motori diesel di ultima generazione prodotti in Germania inquinano meno, le case automobilistiche hanno chiesto a un laboratorio scientifico dell'università di Aachen (l'EUGT) di far inalare a persone e a scimpanzé il prodotto della combustione del diesel. Utilizzare uomini e animali per un esperimento potenzialmente pericolosissimo per la salute umana fa impressione. L'Organizzazione Internazionale della Sanità ha da poco dichiarato le inalazioni dei fumi causati dalla combustione del carburante diesel altamente cancerogene. L'esperimento tedesco voleva confutare questa tesi. Secondo gli scienziati dell'EUGT c'è riuscito. Secondo i loro studi il diesel di nuova generazione ha minori effetti tossici rispetto ai precedenti e potrebbe essere utilizzato sul mercato assieme alle potentissime auto tedesche che lo usano come carburante. Rimane il fatto che i dati scientifici da loro pubblicati sono stati criticati e confutati da altri scienziati. Il dibattito sulla validità dei loro esperimenti rimarrà terreno di scontro dialettico aperto forse per anni. Quello che invece appare una verità inconfutabile è che siano state esposte donne e uomini a una somministrazione nociva di gas venefico. Gente comune è stata trattata da cavia di laboratorio. Lo stesso è successo a povere scimmie costrette per ore a vivere in una stanza inondata da gas di scarico delle macchine. Questo è un ulteriore danno all'immagine della Germania. La cancelliera Merkel si mostra da mesi a favore della tutela della salute e dell'ambiente e si sta contrapponendo alla politica volta a incrementare il consumo di carbonfossile voluto dal presidente americano, Donald Trump. Che figura fa la Germania, che è perfino azionista del gruppo Volkswagen per una percentuale pari al 20%, se si viene a sapere che le industrie automobilistiche nazionali operano nel campo ambientale utilizzando mezzi scorretti? Un precedente, se vogliamo addirittura più grave c'è, qualche mese fa si scoprì che i gruppi automobilistici germanici truccavano i dati di emissione di carbonio prodotti dalla loro ricerca. la finalità di questo imbroglio era poter vendere automobili in America pur non essendo in regola con le norme di emissione di gas vigenti in Usa. Per questo motivo tantissimi dirigenti delle case automobilistiche tedesche hanno dovuto rassegnare le loro dimissioni. Oggi un altro scandalo potrebbe incrinare ancora una volta l'immagine della nazione che produce il maggior numero di automobili nel mondo. Occorre precisare che i dirigenti delle case automobilistiche hanno ammesso di aver commissionato uno studio alla EUGT, ma hanno negato di aver chiesto al laboratorio universitario di compiere esperimenti su animali e persone. D'altro canto il laboratorio nega di aver fatto esperimenti per confutare le ricerche dell'Organizzazione Internazionale della Sanità sulla pericolosità del diesel, ma di aver condotto normali indagini sulla salute degli operai nella fabbrica, tesi poco credibile questa, visto che non sono gli operai a respirare monossido di carbone ma i passanti all'attraversamento delle auto. Insomma questo sembra un altro giallo, legato all'auto e all'inquinamento, un altro tassello del puzzle che compone l'avidità e la stupidità umana, che non si fa remore di danneggiare la salute pur di avere lauti guadagni.
testo di Giovanni Falagario

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 24


ARTICOLO 24
“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento
Sono assicurati ai non abbienti con appositi istituti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”
Continua la pubblicazione da parte di "Racconto a mano libera" degli articoli della Costituzione Italiana per festeggiare i settanta anni dalla promulgazione della nostra legge fondamentale.
L’articolo 24 della Costituzione sancisce il diritto di ogni persona di rivendicare davanti allo stato, davanti a un magistrato, i propri diritti violati. Questo principio è stato istituito in Germania nel 1700. Un mugnaio di una piccola città tedesca, Postdam, era vessato dai soprusi del signore locale. Il nobile gli imponeva lavori di corveè, lavoro gratuito che il villano doveva al signore nel Medioevo, senza che questi fossero sanciti dalle leggi e consuetudini locali. Il mugnaio indignato andò a Berlino. Si rivolse al re di Prussia, Federico il Grande, pronunciando la frase che d’allora rimase proverbiale: “c’è un giudice a Berlino?”. Il sovrano giudicò che, in base alle leggi e alle tradizioni giuridiche della Prussia, il contadino avesse ragione a reputare vessatorio il comportamento del signorotto locale, e sancì che il mugnaio fosse libero dalle imposizioni medievali. Questo precedente storico inserì fra i diritti inviolabili dell’uomo anche quello di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Chiunque, se vittima di soprusi frutto della violazione di legge, può chiedere l’aiuto dello stato per ripristinare un proprio diritto violato. Tutti gli ordinamenti Costituzionali che sono nati successivamente, dalla Costituzione Americana alla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo francese hanno incardinato, nei propri statuti, il principio. Tutti gli stati liberali dell’Ottocento hanno inciso nelle proprie leggi questo principio inderogabile. E’ lampante che qualsiasi diritto non possa essere considerato tutelato in un ordinamento statuale, se non è effettivo. Effettivo vuol dire che sia possibile esercitarlo pienamente e se ciò non avviene sia nelle facoltà del cittadino chiamare in giudizio chi impedisce il suo esercizio. Insomma chi subisce un torto ha la possibilità, il sacrosanto diritto, di chiedere giustizia allo stato attraverso un organo appositamente istituito e preposto a difendere la legalità. Lo stato italiano, la Costituzione, garantisce la difesa dei diritti e degli interessi legittimi di ogni persona. I diritti sono direttamente esigibili da parte del soggetto. Io compro una cosa, e in virtù dell’atto giuridico dell’acquisto, ho il diritto di proprietà sul bene. Nessuno può sottrarmi quel bene che rientra nella piena mia proprietà. L’Interesse legittimo è importantissimo al pari del diritto soggettivo. Ogni cittadino, ogni persona, che si trova a confrontarsi con la pubblica amministrazione deve avere la garanzia che gli atti d’autorità di quest’ultima siano conformi alla legge dello stato. Si fa l’esempio dei concorsi pubblici. Il singolo partecipante non ha il diritto soggettivo a vincere il concorso ed ottenere un posto di lavoro, ma ha l’interesse legittimo che la prova concorsuale si svolga senza brogli ed adempiendo le norme di legge in materia. Insomma l’interesse legittimo si esercita contro gli atti amministrativi esecutivi che si rivolgono a una vasta platea di utenti, i quali possono rivolgersi ad un apposito tribunale, il TAR (Tribunale Amministrativo), se ritengono che siano violate norme dello stato o delle regioni. Il secondo comma dell’articolo 24 sancisce il diritto inviolabile alla difesa. Chi è chiamato in giudizio ha il diritto di difendersi o in prima persona o, come è usuale e spesse volte indispensabile, chiedendo l’ausilio di un professionista, un avvocato. Il diritto alla difesa è un principio volto a scongiurare i soprusi. Nessuno deve essere in balia dello stato, nessuno deve essere sottoposto ad angherie. L’esempio letterario di Kafka deve essere scongiurato. Nessuno deve essere come K., l’anonimo protagonista del romanzo “Il Processo”, condotto agli arresti, processato e condannato a morte senza conoscere le ragioni dell’accusa e senza avere la possibilità di difendersi. La nostra costituzione sancisce, al contrario, il diritto alla difesa in ogni ordine e grado del procedimento, che impone, come necessario corollario, la conoscenza da parte dell’imputato dei capi d’accusa. E’ d’obbligo ricordare che negli anni bui del XX secolo i regimi fascisti e nazisti hanno condotto in prigionia e hanno ucciso milioni di persone innocenti negandogli un processo. Gli ebrei deportati, quali agnelli sacrificali, furono depostati senza alcuna possibilità di difendersi. La stessa sorte la subirono gli zingari, la comunità Sinti, anch’essa perseguitata dal nazifascismo. I disabili furono internati in nome di un vago e crudele principio di sanità pubblica, che si fondava sull’idea che il meno atto ad affrontare la vita dovesse essere soppresso, cancellando così l’idea che la vita di chiunque è un bene inviolabile. Insomma senza il diritto alla difesa, lo stato, totalitario, ha compiuto gravissimi crimini. La legge deve, come dice il terzo comma dell’articolo 24, garantire gli strumenti di difesa a chi non ha i soldi e gli strumenti culturali per acquisirli da solo. E’ stata istituita la figura dell’avvocato d’ufficio che ha il compito di difendere gratuitamente chi è in stato d’indigenza. Questo istituto è un atto di umanità e di saggezza giuridica volto a venire incontro a chi si trova ad affrontare una causa in stato d’indigenza. L’ultimo comma dell’articolo 24 sancisce il diritto ad essere risarciti in caso di errori giudiziari. Il cittadino che come K. Subisce le angherie del potere deve essere rimborsato. E’ un principio di giustizia. Chiunque subisca processi ha dei danni non solo materiali ma anche morali. Se è costretto a subirli ingiustamente deve essere risarcito. Alle volte, specie se si è accusati ingiustamente di gravi reati penali, un risarcimento economico, per quanto consistente, non sarà mai adeguato all’onta subita. In questi anni si è molto discusso se fosse il caso di introdurre la responsabilità penale e civile del giudice nel nostro ordinamento. Oggi se un giudice sbaglia è lo stato che paga che risarcisce, in seguito potrà rivalersi sul giudice, ma riprendendosi piccola parte del dato alla vittima dell’errore giudiziario. La destra vorrebbe che fosse il giudice a pagare interamente i danni provocati. Staremo a vedere. Certo l’introduzione della responsabilità personale del giudice sarebbe un grave nocumento per la sua libertà di giudizio. Il magistrato dovrebbe pensare prima alle cause giudiziarie che dovrà affrontare, che a fare giustizia. Più razionale è l’attuale modello, in cui lo stato risarcisce e il giudice, uomo di coscienza, proncia le sue sentenze in spirito di verità e giustizia senza alcun vincolo psicologico. Staremo a vedere cosa succederà. Certo che per rendere effettivo lo spirito dell’articolo 24, per garantire al cittadino l’esistenza di un giudizio sereno e libero, bisognerebbe che la magistratura fosse libera da ogni condizionamento.
Testo di Giovanni Falagario

domenica 28 gennaio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 22

ARTICOLO 22

“Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”

Prosegue la pubblicazione da parte di "Racconto a mano libera" degli articoli della Costituzione Italiana, per celebrarne i settanta abbi di vita. L’articolo 22 della Costituzione Italiana sancisce che nessuna motivazione politica può privare l’uomo e la donna del proprio nome, della propria capacità di essere soggetti che possono compiere atti giuridici, della cittadinanza. Si sancisce il diritto ad avere e a mantenere la propria identità. Il nome è ciò che ci rende unici ed eccezionali. La dignità della persona si preserva soprattutto riconoscendo il suo diritto ad avere una personalità. Ogni persona, anche coloro che hanno problemi psichici, è un soggetto che ha una propria individualità. Ognuno la esprime diversamente. Lo stato deve fare in modo che nessuno possa essere ridotto allo stato subumano. I precedenti tragici della prima metà del XX secolo ci debbono servire da monito. I regimi nazisti, fascisti e comunisti si sono adoperati per negare la dignità di uomini ad oppositori, facenti parte di comunità religiose o culturali minoritarie, e a disabili. I campi di concentramento nazisti e i gulag staliniani sono stati la negazione del diritto alla dignità che ogni uomo ha. Stalin internava nei gulag oppositori politici, ma anche appartenenti a etnie considerate, follemente, pericolose per il regime comunista, tali erano considerati, ad esempio, gli ebrei che risiedevano in Ucraina. Hitler ha negato il diritto alla vita a milioni di Ebrei, zingari, oppositori del regime e disabili. Ha mandato tutte queste persone nei campi di sterminio, gli ha dato la morte manifestando il suo cinismo e la sua mancanza di umanità. Insomma ha reso possibile l’annullamento della persona umana. I soggetti invisi al regime erano carne, il termine pare appropriato, da mandare al macello. Non è un caso che Primo Levi, vittima e testimone a un tempo della follia concentrazionista del nazismo, si chiesa “se questo è un uomo?”, è il titolo di uno dei suoi libri che parlano di Auschwitz. Insomma l’articolo 22 sancisce a chiare lettere la sacralità della persona umana, è un corollario dell’articolo 2 che riconosce i diritti della persona, il diritto al nome è uno dei modi per tutelare l’integrità fisica e morale di tutti. Nessuno potrà mai finire nei campi se gli sarà riconosciuto il diritto al nome, il diritto ad essere unico e allo stesso tempo uguale agli altri. Un altro diritto è quello di mantenere la propria cittadinanza. Si sa i regimi politici hanno sempre visto come strumento di potere la possibilità di negare la cittadinanza a chi fosse visto come elemento di pericolo per il proprio potere. La costituzione nega tassativamente che possa essere applicato questo sopruso nel nostro regime repubblicano. Ci sono casi in cui un cittadino potrebbe perdere la cittadinanza, ma sono esplicitamente citati in costituzione e normati da una legge dello stato. Nel caso un cittadino italiano abbia lavorato per enti statali stranieri e abbia prestato servizio militare per una potenza straniera, potrebbe perdere la cittadinanza se l’autorità preposta lo ritenga necessario. Ma questi sono casi limite. La norma è che la cittadinanza è un bene prezioso che non si può perdere. Sul tema della cittadinanza si è aperto un dibattito ampio. Una proposta di legge, ormai senza speranza di essere approvata, estendeva ai bambini nati in Italia, ma figli di non cittadini italiani residenti, però, nel nostro paese, il diritto di cittadinanza. Il dibattito si è fatto intenso. E’ giusto lasciare il diritto di cittadinanza ai soli figli di cittadini italiani o sarebbe meglio dare anche a chi è nato, studia e vive in Italia, pur essendo figlio di stranieri, la cittadinanza. La destra e il Movimento Cinque Stelle preferiscono che sia il “sangue”, cioè l’ascendenza, a determinare la cittadinanza. La sinistra vorrebbe che fosse la cultura a determinare la cittadinanza, che chi parla italiano vive in Italia studia nel nostro paese fosse italiano. E’ un dibattito ampio. Il candidato alla presidenza della Regione Lombardia della destra ha dichiarato che sua intenzione “è difendere la razza italiana”, questo è un moto che lo accomuna a tutti coloro che voteranno Lega e Forza Italia. L’elemento etnico è fondamentale per la destra di oggi esattamente come lo era per la destra mussoliniana che nel 1938 promulgò, con la complicità di casa Savoia, le leggi razziali. Noi che scriviamo crediamo che la razza sia solo quella umana, che non vi siano differenze etniche tale da fare discriminazioni. Rimane il fatto che milioni di miei concittadini, votando le forze politiche legate a Salvini, Berlusconi e Meloni, non la pensano così. Pensano che il cittadino italiano che ha diritto a una vita dignitosa sia solo bianco e di molte generazioni italiano. Esattamente come la pensavano Hitler e Mussolini, che sotto al loro regime imponevano che bisognasse dimostrare di avere sangue italiano o tedesco al 100%, certificando che i propri genitori e nonni non erano ebrei, oggi la destra pensa che solo chi è di sangue italiano abbia diritto alla cittadinanza. Questa convinzione deve essere vinta. Bisogna sottrarre consenso a una destra di tal fatta. Bisogna farlo con paziente opera di persuasione. Bisogna farlo facendo intendere che la solidarietà umana è un cardine fondante del vivere insieme. Bisogna farlo ricordando che il diritto a non essere privati del nome, della cittadinanza e della capacità giuridica è una conquista ottenuta grazie al sacrificio dei milioni di ebrei, dei milioni di zingari dei milioni di perseguitati morti per mano di un regime totalitario che negava la dignità umana a coloro che erano considerati di “razza” inferiore. Bandire il termine “razza” dal nostro vocabolario, non votare partiti che usano questo termine è un dovere morale che abbiamo in nome del rispetto e la pietà che dobbiamo ai milioni di morti dell’Olocausto.



Testo di Giovanni Falagario

sabato 27 gennaio 2018

LA RAZZA

LA RAZZA

Oggi si celebra il giorno della memoria, si ricorda la liberazione degli internati ad Auswuitz. Contro il nazismo e il fascismo che avevano nel loro fondamento il mito della razza. Un'egemonia culturale ha voluto che per decenni sia stata considerata la cultura della razza un male. Il fascismo è stato denigrato. Da quando Silvio Berlusconi scese in campo le cose cambiarono. Persone come Gianni Alemanno, Gianfranco Fini e, soprattutto, Massimo Carminati presero il posto che gli competono. Gli esaltatori della razza italiana erano al fianco degli esaltatori della razza padana, ricordiamo il compianto Gianfranco Miglio ideologo della lega, contro coloro che professavano l'uguaglianza del genere umano. Silvio Berlusconi ha saputo unire queste diverse anime della destra. ha saputo ricostruire un'unità politica sul sangue, sulla comune base etnica. Non è un caso che la destra si è battuta e ha vinto contro la cosiddetta  legge dello Ius soli, una legge che voleva dare cittadinanza a coloro che erano nati in Italia e avevano una cultura italiana, ma che non avevano sangue italiana. Ciò sarebbe stato un chiaro "sporcare il sangue" cosa indigesta per chi vota Lega e Forza Italia. I sondaggi sono chiari, il 40% circa di noi italiani voterà lega e Forza Italia, voterà per chi considera un grande statista chi ha voluto le leggi razziali, Benito Mussolini. Io credo che il razzismo non sia un bene. Rispetto invece chi votando lega e Forza Italia è convinto del contrario. Ma intendo provare a ragionare, provare a dialogare. Il razzismo ha portato morte. E' vero che Silvio berlusconi non ha mai ordinato campi di concentramento, ma i suoi punti di riferimento storici l'hanno fatto. Proviamo a dire no al fascismo, proviamo a dire che esiste solo una razza, quella umana, non votiamo lega e forza Italia.

Testo di Giovanni falagario


ARTICOLO 21

ARTCOLO 21

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per caso motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente l’autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”
L’articolo 21 della Costituzione sancisce la libertà di pensiero. Ogni uomo e ogni donna possono esprimere liberamente la loro opinione. E’ una libertà che in passato non era concessa. Il sovrano nei secoli scorsi poteva impedire, secondo il suo insindacabile arbitrio, la pubblicazione di testi ed opere nel proprio dominio. La chiesa cattolica aveva istituito il cosiddetto “indice”, cioè l’elenco dei testi che non dovevano essere divulgati nei paesi cattolici, perché contrari alla dottrina della chiesa. Insomma la censura è da sempre uno dei modi in cui il potere manifesta il suo presunto diritto alla prevaricazione. Il potente decide cosa debba essere letto e cosa no. Quale sia il pensiero lecito lo decide l’autorità costituita. Ricordiamo che Galileo Galilei dovette abiurare le proprie idee scientifiche, per non incorrere alle punizioni susseguenti alla condanna di un tribunale ecclesiastico. Durante il fascismo chi esprimeva un’idea contraria la quella del Duce, Benito Mussolini, veniva esiliato o imprigionato. Insomma fino all’avvento della Repubblica la libertà di pensiero non era affatto tutelata. La  libertà di parola, concetto entrato nel nostro ordinamento giuridico con lo Statuto Albertino, era nei fatti ignorata, prima di tutto perché l’autorità di polizia aveva il potere di sindacare sui contenuti di qualsiasi testo e giudicarlo pericoloso per lo stato e poi perché lo Statuto Albertino, non essendo una costituzione rigida, poteva essere modificato con qualsiasi norma dello stato, cosa che fece il Fascismo. La Costituzione Italiana invece è rigida, una norma dello stato non può e non deve derogare i suoi precetti. Di conseguenza la libertà di pensiero è un diritto inviolabile. Nessuna  norma può lederlo. Chiunque può esprimere le sue idee, dal comune cittadino alla persona più rinomata. L’unico limite sono le leggi penali che puniscono la calunnia, la diffamazione e tutti gli altri reati che si possono commettere utilizzando la parola. Solo se si commettono reati di tal genere la legge punisce. La libertà di parola è fondamentale. Solo attraverso il libero speculare della mente la nazione può crescere. La libertà di opinione fomenta il dibattito pubblico. Rende le istituzioni più trasparenti, perché il loro operato può essere al centro del dibattito pubblico. Accresce la conoscenza. Solo conoscendo il pensiero altrui, si può avere stimoli culturali volti a migliorare il proprio. Parlare è lo strumento principale per esercitare la democrazia. I giornali sono da sempre l’anima della società civile, dalle loro pagine si erge la voce contro il potere prevaricante. Per questo motivo il secondo comma dell’articolo 2 proclama che la stampa non è soggetta a censura. Verrebbe da dire che bisognerebbe interpretare questa solenne dichiarazione ampliando i soggetti di tale diritto. Internet, la rete, la televisione la radio sono strumenti attraverso i quali chiunque può liberamente esprimere il proprio pensiero, è bene che anche chi parli attraverso tali strumenti sia tutelato, come ben scriveva il giurista Stefano Rodotà. Il sequestro dei giornali e degli strumenti di promulgazione delle idee è concesso solo per atto motivato della autorità giudiziaria e in caso di delitti, cioè di lampanti trasgressioni al codice penale. Le autorità di polizia possono sequestrare materiale pubblicistico senza autorizzazione del giudice, quando questo è contrario all’ordinamento e alla pubblica decenza, ma devono prontamente darne comunicato alla autorità giudiziaria che deve ratificare il sequestro entro 24  ore pena la decadenza dell’atto. I costituenti hanno preferito esprimere chiaramente questo concetto e scriverlo all’interno dell’articolo 21, per due motivi primo per evitare che ci sia una stampa indecorosa, lesiva dei buoni costumi, secondo per impedire che il giudizio sulla pubblicabilità di un foglio rimanga all’autorità di polizia. La polizia può compiere il sequestro, ma il suo gesto rimane censurabile da un’autorità terza quale la magistratura. La libertà di opinione è un bene prezioso. Non si deve sprecare con inutili e crudeli giochi di potere che utilizzano la censura come strumento di dominio. Un paese libero, un paese in cui ogni cittadino può dire la sua, è un paese più trasparente. Le istituzioni, iniettate dell’afflato ideale prodotto dalla libera parola, possono crescere. Fastidiosi e perniciosi sono i tentativi di porre un limite alla libertà di pensiero. La politica, l’economia e i poteri accademici non devono essere d’ostacolo alla libertà espressiva delle persone migliori del paese. Il pensiero è bene prezioso, la sua espressione è un faro che illumina la strada di una comunità che ha bisogno di crescere. Impariamo ad ascoltare, impariamo ad ascoltarci, poniamoci in umile ascolto del pensiero altrui e pretendiamo che gli altri ascoltino le nostre parole. Questo aiuterà l’Italia a crescere. La libertà di pensiero è il modo per evitare che nessuno sia escluso. A questa luce appare chiaro il motivo del penultimo comma di questo articolo. La Stampa libera deve essere trasparente. Devono essere chiari i motivi per cui un giornale, un telegiornale, un pensiero sia stato espresso. Per questa ragione è d'obbligo che sia noto chi finanzia e quali siano i finanziamenti di un periodico. Chi mette i soldi, sicuramente lecitamente, ha comunque una finalità che influenza la testata da lui finanziata, bisogna che ciò, sentenzia la costituzione, sia noto a chi legge in forza di quella trasparenza, che pur non esplicitamente citata, è da considerarsi uno dei fondamenti della Costituzione Italiana.I Costituenti, forti del loro rigore morale, avevano ben chiaro che informare i cittadini su questi aspetti è un modo per rendere migliore il paese. 
Testo di Giovanni Falagario


mercoledì 24 gennaio 2018

ASTENSIONISMO



VOTO O NON VOTO
I sondaggi parlano di un alto astensionismo che caratterizzerà le elezioni nazionali italiane del 4 marzo 2018. I cittadini italiani sono scorati. Non hanno fiducia nelle istituzioni e soprattutto nei partiti. I sondaggi parlano chiaro. La sfiducia nei politici è altissima. La classe dirigente italiana non appare moralmente e professionalmente degna di apprezzamento. E' forte la sensazione che chi è chiamato ad avere le redini del paese non abbia le competenze giuste. La classe politica ha sempre deluso le attese della gente comune. Allora davanti a questo stato di cose la scelta di molti sembra orientata all'astensionismo. Nella regione Emilia Romagna, una delle terre italiane in cui la popolazione ha sempre partecipato convintamente al voto, alle ultime elezioni regionali si è registrato l'astensione di più del 50% degli aventi diritto. Un dato che boccia la politica della sinistra, che è sempre stato lo schieramento politico più votato nella Bassa Padana, ma anche per tutto l'arco istituzionale. Questo fenomeno d'astensione sembra si ripeterà alle prossime elezioni nazionali, così dicono i sondaggi. Allora non rimane che constatare come la delusione verso le forze politiche è ampia. Bisogna che ci sia un forte rinnovamento oltre che politico, anche sociale e culturale. La società italiana deve pensare a se stessa e al proprio futuro ripartendo da valori condivisi. Bisogna riscoprirsi comunità di persone. Il senso di abbandono da parte delle istituzioni deve essere un modo per rialzare la testa. E' giunto il tempo di riprenderci in mano il proprio destino. Questa è un'intuizione avuta già da tempo da Beppe Grillo. Il comico genovese è riuscito a creare un afflato di partecipazione collettiva, una volontà comune di affrontare e risolvere i problemi, che lo ha portato a fondare, assieme al compianto Gianroberto Casaleggio, il Movimento Cinque Stelle che si fonda sulla compartecipazione di tutti i cittadini alle decisioni politiche attraverso la rete. A dire il vero il M5S ha manifestato qualche contraddizione quando è stato chiamato ad amministrare le città, particolarmente Roma e Torino. Rimane l'idea che per rinnovare l'Italia occorre la partecipazione collettiva. Magari non è necessario andare alle urne. Se una persona non si riconosce in nessuno dei partiti, forse, è giusto che non vada a votare, malgrado l'esercizio del voto sia un dovere civico. Però quello che serve al paese è la partecipazione. Quello che serve è l'impegno di tutti, magari attraverso il volontariato, magari attraverso l'azione civica, magari protestando contro il degrado. Partecipare si può e si deve per migliorare questo paese.
testo di Giovanni Falagario

martedì 23 gennaio 2018

LA BELLA ARCHITETTURA

ARCHITETTO PARTIGIANO
Si ricordano in questi giorni i cent'anni dalla nascita di Bruno Zevi. Uno dei più brillanti storici dell'architettura dell'Italia. Nasce a Roma il 22 gennaio 1918. La Grande Guerra è ancora nelle sue fasi cruciali. L'Italia è sospesa nell'attesa che l'esito del conflitto decida i suoi destini. Il piccolo Bruno nasce in una famiglia che professa la religione ebraica. Questo accidente segnò la sua vita. Bruno consegue la maturità classica al liceo classico romano "Tasso". Nel 1938, a seguito delle leggi razziali volute da Mussolini, è costretto ad emigrare a Londra, ove anche gli ebrei possono compiere studi, cosa preclusa nell'Italia fascista. Nel 1942 si laurea in architettura nella prestigiosa università di Harvard. Nel 1944 sceglie di tornare nella sua Roma. Infuria la seconda guerra mondiale, l'Urbe è in mano ai nazisti, Bruno Zevi sceglie di essere partigiano e si unisce alle brigate partigiane di "Giustizia e Libertà", l'organizzazione politica fondata dai fratelli Rosselli. Il suo impegno in guerra lo fa eroe della Resistenza. Finita la guerra sceglie di ricostruire il paese. Non torna a Londra, ove lo attende una sicura carriera ricolma di onori, Insegna storia dell'architettura presso l'istituto universitario di architettura di Venezia. Nel frattempo le sue pubblicazioni lo rendono uno studioso stimato e ascoltato. La sua filosofia dell'urbanistica lo rende un precursore di una edilizia che concilia il bello con il funzionale. Una filosofia del costruire che supera le rigidità dell'edilizia fascista, che caratterizzavano il tessuto urbano di allora. Il suo impegno di docente universitario lo portò ad occupare la cattedra di professore ordinario all'università degli studi "la Sapienza" a Roma dal 1964. Per fermare lo scempio edilizio di quegli anni scelse di impegnarsi nuovamente in politica. Militò nel partito Radicale per decenni. Fu diverse volte deputato della Repubblica Italiana e sedette sullo scranno del parlamento europeo. Negli ultimi anni fondò "Il partito d'azione liberalsocialista", il suo intento era quello di rinverdire le sorti del "partito d'azione" il movimento politiche che all'indomani della fine della seconda guerra mondiale aveva provato a raccogliere l'eredità dei Fratelli Rosselli e del loro "Partito d'azione" e aveva dato un contributo fondamentale durante il dibattito in assemblea costituente. Il suo tentativo fallì. Però non si può che apprezzare la tensione morale e civica di Zevi che caratterizzò tutta la sua vita di intellettuale, politico e uomo delle istituzioni. Muore il 5 gennaio 2000 nella sua casa romana, circondato dall'affetto dei suoi cari e dei suoi studenti
Testo di Giovanni Falagario

BERLUSCONI E SALVINI

LA SVOLTA
Oggi,22 gennaio 2018, Silvio Berlusconi vola a Bruxelles. Il suo obbiettivo è illustrare il programma di governo della coalizione che vede Forza Italia e Lega come partiti principali. Berlusconi assicura che obbiettivo del nuovo governo sarà la stabilità. Conti pubblici a posto, regole rispettate da un esecutivo che avrà come primo obbiettivo il controllo della spesa pubblica. Berlusconi ricorda che il suo fu il governo che congelò i crediti dei privati verso la pubblica amministrazione, una scelta importantissima che fu l'avvio del risanamento pubblico. Una scelta che fece Giulio Tremonti, che non ebbe timore di inimicarsi imprenditori e aziende che avevano crediti con lo stato. A chi teme le intemperanze della Lega, il cavaliere risponde che è proprio la lega a candidare Giulio Tremonti a dimostrazione che Salvini vuole stabilità e coerenza nella tenuta della spesa pubblica. Insomma per il cavaliere non ci sono problemi. Il governo di destra sarà responsabile e rispettoso dei dettami della Commissione europea. Insomma Berlusconi è intenzionato a dimostrare che il suo è il movimento più europeista di tutti. La lega tace. Preferisce evitare discussioni. Salvini si limita a dire che sarà lui il premier. Intanto Roberto Maroni si appresta a fare il baby sytter di Salvini. La sua scelta di non ricandidarsi alla regione lombardia è probabilmente dovuta all'esigenza di affiancare allo strampalato segretario una persona credibile, come è lui. Intanto Bruxelles applaude. Il popolo italiano spera. Arriverà il giorno in cui il tribunale europeo cancellerà l'infamia prodotta dalla legge Cancelliri che rende incandidabile l'ex cavaliere, condannato in via definitiva per evasione fiscale. Il popolo di destra chiede solo questo: il ritorno in politica di Berlusconi. E' l'unica cosa che Forza Italia e Lega chiedono all'Europa dandogli in cambio stabilità e rigore.
testo di Giovanni Falagario

lunedì 22 gennaio 2018

VIAGGIO INTORNO ALLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 16

VIAGGIO INTORNO ALLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 16

“ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e rientrarvi. Salvo gli obblighi di legge”

Continua la pubblicazione degli articoli della Costituzione Italiana da parte di “Racconto a mano libera”. Per ricordare che sono passati settanta anni fra l’oggi e l’anno della promulgazione della nostra Carta Fondamentale abbiamo deciso di riportare tutti i lemmi del testo giuridico che è a fondamento dell’ordinamento repubblicano. Quest’oggi ci accompagneranno le splendide parole dell’articolo 16. La libertà di movimento, la libertà di viaggiare e sostare nei luoghi che più ci aggradano, è un diritto stupendo. Ci offre la libertà di scoprire nuovi luoghi, di scorgere la molteplice bellezza che caratterizza il nostro splendido paese. Lo spostarsi è uno degli atti che hanno caratterizzato il genere umano fin dalla sua nascita. I nostri avi nella preistoria, per lo più raccoglitori, hanno sempre viaggiato alla ricerca di cibi migliori e di terre amene. I nostri costituenti hanno sentito l’esigenza di scrivere nella nostra carta fondamentale questo diritto inviolabile. Per millenni le convenzioni sociali, i diritti locali, gli usi, le imposizioni statuali hanno reso impossibile la reale libera circolazione delle persona. I confini, che separavano le città comunali le une dalle altre nel nostro Medioevo, hanno reso per millenni impossibile muoversi senza avere un lasciapassare da parte del signorotto locale. L’unità nazionale, faticosamente raggiunta nel 1861, ha reso possibile l’abbattimento delle frontiere che dividevano le nostre regioni. Ma l’avvento della monarchia sabauda non ha abolito l’istituto del confino, una pratica che imponeva a un soggetto di soggiornare obbligatoriamente in un luogo. Questo istituto fu utilizzato largamente dal regime fascista contro coloro che erano considerati oppositori politici del regime. Oggi applicare l’istituto del confino non è più possibile, nessuno può essere costretto a dimorare in un luogo per ragioni legate al suo credo politico, l’articolo 16 nega esplicitamente e con forza la possibilità di applicare l’istituto del confino. Tutti i cittadini italiani possono circolare liberamente all’interno del suolo nazionale. In quanto cittadini europei possiamo anche liberamente circolare nei territori in cui gli stati che hanno aderito al trattato di Schengen esercitano la propria sovranità nazionale. Il Trattato di Schengen è l’accordo fra alcuni stati, non tutti, che aderiscono alla Unione Europea che istituisce la cosiddetta “cittadinanza europea”, che dà ai cittadini dei singoli stati aderenti diritti e doveri nuovi e propri di coloro che fanno parte di questa comunità stras nazionale. Uno di questi diritti, forse il più importante, è quello di stabilirsi in qualsiasi stato aderente senza alcun obbligo di richiedere permessi di soggiorno, di studio o di lavoro, oneri che gli stati impongono agli stranieri. Urge a questo punto notare che la libertà di circolazione, per esplicita enunciazione dei padri costituenti, è un diritto non generale, ma proprio del cittadino italiano, e oggi europeo. Chi è nato in nazioni lontane non ha diritto di circolare e soggiornare liberamente nel nostro stato, la sua presenza nel nostro paese deve essere autorizzata dalla nostra autorità nazionale. Questa visione è il lascito di una cultura in cui la difesa dello stato nazione da invasioni stranieri era sentito come necessità. Lo straniero è visto come un pericolo. La parola “ospite” ha la stessa radice del termine latino di hos (nemico). Lo straniero è il nemico sempre e comunque nella tradizione classica. Da quando ci sono gli stati e i confini, chi proviene da fuori è purtroppo considerato un nemico. L’esistenza di barriere e di controlli che regolamentano i flussi delle persone straniere è purtroppo necessaria. E’ necessario controllare chi proviene da lontano, identificandolo e accogliendolo. Detto questo è giusto sottolineare come l’avversione e l’ostilità verso l’altro ha sempre e solo portato lutti. Quando si sono costruite barriere fra gli stati e i popoli sono crollate rovinosamente provocando morti. E’ d’obbligo ricordare la cosiddetta “Linea Maginot” che doveva separare, confine invalicabile, la Francia e la Germania agli albori del XX secolo, non ha prodotto altro che i milioni di morti della Grande Guerra (1914/1918). I confini non proteggono, uccidono. Pensiamo  ai tanti morti che sono spirati cercando di valicare il “Muro di Berlino”, il terribile confine fra la Germania Est e quella Ovest, cosa che avveniva fino all’anno 1989. E’ d’obbligo pensare, quindi, a una politica saggia volta all’inclusione, non certo all’esclusione. Dare la possibilità a tutti di viaggiare di stabilire liberamente il luogo in cui risiedono è motivo anche di ricchezza. Perché la libertà di circolazione dà la possibilità, anche, di aprire attività, lavori, liberamente in ogni luogo del paese. Un avvocato lombardo può aprire uno studio a Canicattì. Un imprenditore siciliano può aprire una fabbrica in Veneto. Anche la libera circolazione dei beni e delle ricchezze è un elemento legato alla libera circolazione delle persone, è meglio non dimenticarlo. La legge può limitare la libera circolazione dei cittadini solo per motivi di sanità e sicurezza. Urge sottolineare quindi che è solo la legge, una norma scritta che può limitare la libertà di spostarsi. In più questa legge è, come si suol dire con linguaggio giuridico, rinforzata. Nel senso che questa legge, che vieta il libero circolare dei cittadini all’interno dello stato, deve essere motivata da ragioni tassativamente elencate dalla norma costituzionale: queste ragioni sono: la sanità e la sicurezza pubblica o del singolo. In caso contrario la Corte Costituzionale deve farla decadere e renderla inapplicabile con sentenza. Insomma la repubblica può limitare la libera circolazione o per scongiurare epidemie, e quindi per ragioni di profilassi. O per ragioni di sicurezza pubblica, pensiamo al confino imposto a persone che sono state condannati per reati mafiosi, costretti al domicilio coatto dopo aver scontato la propria pena. Sono norme necessarie. Nel primo caso per garantire la salute pubblica. Nel secondo caso per combattere fenomeni criminali, quali le associazioni malavitose, che sono un vero cancro per il tessuto sociale. L’ultimo comma dell’articolo 16 è importantissimo. Proclama la libertà di movimento. Tutti i cittadini italiano hanno piena libertà di uscire e rientrare nel suolo patrio. Non sono ammessi divieti di espatrio, come avveniva ad esempio nei regimi comunisti nell’Europa Orientale. Ognuno è libero di raggiungere terre lontane per motivi di svago, viaggio, lavoro o per accrescere le sue conoscenze culturali. Uniche restrizioni possibili a questa libertà sono gli obblighi di legge, cioè una norma potrebbe limitare questa libertà a persone che hanno svolto particolari atti99vità all’estero tali da essere reputati pericolosi per la Repubblica. Ad esempio coloro che hanno svolto attività diplomatiche per stati stranieri, oppure hanno fatto il servizio militare per potenze straniere, questi potrebbero avare un divieto di ritorno nello stato italiano e, addirittura, perdere la cittadinanza patria. A parte questi casi estremi, in cui la sicurezza nazionale prevale sul diritto di libera circolazione del singolo cittadino, la regola della libertà di movimento è la preminente, non è un caso che le autorità preposte al rilascio del passaporto, quindi che autorizzano l’espatrio, non devono mai sindacare sulle ragioni del viaggio o sulla integrità morale del richiedente, il loro compito è solo appurare che non vi siano condanne penali o altre ragioni di natura fiscale o legate al diritto di famiglia e commerciale che ostano il rilascio del documento d’espatrio al singolo richiedente. Insomma la libertà di circolazione, la libertà di spostarsi, di lavorare, di dormire, di mangiare dove più ci aggrada è una delle più belle conquiste della nostra repubblica.


Testo di Giovanni Falagario

domenica 21 gennaio 2018

IL NUOVO CHE AVANZA

"BERLUSCONI PRESIDENTE"
Il tempo non passa mai. Per le persone anziane come me che hanno visto scendere in campo Berlusconi nel 1994 questo 2018 in cui il cavaliere torna in campo è quasi una consolazione. E' l'illusione che l'eterna giovinezza esiste. Mentre i miei capelli incanutiscono, Berlusconi è sempre lì giovane e bello. Nel 1994 ero studente universitario, oggi disoccupato in cerca di futuro, Berlusconi è sempre lì invece immutabile. Certo non c'è più tanta gente. Non c'è più, morto in prigione, Vittorio Mangano che assieme a Berlusconi ha prodotto Forza Italia. Non c'è più Cesare Previti, in galera a causa dei vili magistrati. Non c'è più Umberto Bossi, seriamente segnato dalla malattia. Uomini che hanno veramente seguito con entusiasmo Berlusconi. Ma quello che rimane è lui. Oggi ha garantito: chiunque sarà presidente del consiglio chi comanderà sarà lui. L'ha detto per tranquillizzare anche Matteo Salvini. Il segretario della lega si trova a suo agio nelle sagre, quando deve mostrare bambole gonfiabili, quando deve insultare Laura Boldrini e la Fornero, se diventerà parlamentare dovrà invece argomentare proporre leggi, non potrà bivaccare in parlamento come ha fatto per anni a Bruxelles. Berlusconi ha già preparato uno staff che si occuperà di Salvini che gli dirà cosa deve dire e qundo dirla. Probabilmente gli affiancherà anche Roberto Maroni, che ha lasciato la regione lombardia per fare da badante al segretario del carroccio. Insomma chiunque sarà il presidente del consiglio, quando le elezioni decreteranno la vittoria della coalizione lega Forza Italia, che sia Salvini che sia Bossi che sia Paolino Paperino, il vero presidente sarà lui: Silvio Berlusconi che detterà l'agenda della destra. Insomma il tempo non cambia la fisionomia politica del paese, di generazioni in generazioni ci si tramanda il voto al cavaliere Silvio Berlusconi.

Testo di Giovanni Falagario.