ARTICOLO 4
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie
possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al
progresso materiare e spirituale della società”.
Prosegue la pubblicazione degli articoli della Costituzione
Italiana su “Racconto a mano libera” per celebrare i settant’anni della
promulgazione della nostra carta fondamentale. L’articolo quattro è
l’esplicitazione di un concetto già formulato nell’articolo 1. Si spiega cosa
vuol dire che “la Repubblica.. è fondata sul lavoro”. La Repubblica riconosce
non istituisce il diritto al lavoro. Come per altri diritti fondamentali il
padre costituente esplicita che il “diritto al lavoro” è un diritto che esiste
ancor prima dell’ordinamento statale, esiste come diritto proprio di ogni
persona che nella laboriosità esplicita il proprio essere. La Repubblica ha il
dovere di promuoverlo. Ha il dovere di mettere in atto le politiche
istituzionali necessarie per portare la piena occupazione nel nostro paese.
Deve fare in modo che la disoccupazione, almeno quella involontaria, sia un
lontano ricordo di epoche buie. Diciamo subito che questo obbiettivo, è agli
occhi di tutti, non è stato realizzato e pare lungi dal realizzarsi. La
disoccupazione nel nostro paese, soprattutto quella giovanile, è a livelli
allarmanti. Noi siamo la nazione in cui i ragazzi, in età fra i venti e
quarant’anni, stentano ancora a trovare lavoro e se lo trovano è precario e
sottopagato. La repubblica è ben lungi da rendere “effettivo” il diritto al
lavoro per tutti. Il lavoro è nel nostro paese, di fatto, un privilegio non un
diritto. E’ questo dato di fatto ci rende molto cupi e tristi. L’Italia è il
paese che vede sempre con meno speranza il domani. Si fanno meno figli. Si
sceglie sempre meno spesso di sposarsi e di “mettere famiglia”, come si suol
dire. Il senso di precarietà rende il nostro paese sempre meno aperto al domani,
sempre meno ottimista. L’intuizione dei padri costituenti di mettere il lavoro
al centro dei valori fondanti del nostro ordinamento, si dimostra giusta
proprio analizzando gli effetti deleteri che la precarietà e l’assenza del
posto sicuro sta producendo nella nostra società. E’ la mancanza di lavoro che
determina lo scollamento sociale. Senza lavoro siamo diventati una società
frantumata, senza sogni e obbiettivi comuni da realizzare. Ognuno vive isolato
in se stesso, concentrato a difendere il propri privilegi, piccoli o grandi che
siano, senza pensare al bene comune e ai diritti che a differenza dei privilegi
non sono di pochi e per pochi ma di tutti e per tutti. Allora la scelta dei
padri costituenti di rendere l’Italia un paese che mette al centro i lavoratori
era vincente. Un paese in cui il lavoro, intellettuale o manuale, sia il fulcro
del vivere sociale è un paese sano. Come ogni diritto anche il lavoro ha
l’altra faccia della medaglia, cioè il dovere. Se ogni cittadino ha il diritto
di lavorare, ha anche il dovere di farlo. Tutti dobbiamo concorrere alla
crescita non solo economica, ma anche morale e culturale della nazione
attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa. Questo è ben esplicitato
nel secondo comma dell’articolo quattro della Costituzione. Ognuno deve dare
tutto il proprio impegno per rendere la nostra società migliore, per questo si
dice che !ogni cittadino ha il dovere di svolgere.. un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale
o spirituale della nazione”. Concetti nobili che invitano ogni persona a farsi
cosciente che la propria opera è e deve essere preziosa al fine di rendere
fulgidi i destini della nazione. Il lavoratore deve finalizzare il suo impegno
non solo, come è pur giusto, per far vivere meglio se stesso e la propria
famiglia, non deve lavorare solo per avere soldi, ma deve lavorare per
realizzare un progetto collettivo comune a tutto il popolo che si incarna nella
stessa nazione italiana. Allora appare non solo disdicevole ma anche moralmente
inaccettabile il lavoro legato all’illegalità. Il lavoro nero, l’evasione
fiscale, la frode sono tutti aspetti della vita economica che non solo sono
illegali ma scardinano i valori fondanti del nostro stato. La corruzione
dilagante, il dover pagare per avere appalti pubblici, è lo svilire del valore
morale che il concetto di lavoro ha in sé. Il dichiarare il falso al fisco, il
non pagare i contributi, il dichiarasi disoccupato e invece lavorare, non sonno
solo atti di slealtà verso lo stato, ma sono atti di vero e proprio attacco
alla collettività che deve fondare il proprio vivere comune sulla lealtà
reciproca. Infine vorrei chiudere con un’altra nota dolente del nostro paese.
Nel lavoro si esplicita l’emarginazione sociale. E’ sotto gli occhi di tutti
che chi è povero, disabile o in stato di difficoltà invece di avere da parte
dello stato strumenti atti a superare la propria difficoltà, come imporrebbe
l’articolo 3 della Costituzione, è invece spinto ancora più in basso, è messo
sempre più ai margini. La nostra società invece che includere, come vorrebbe la
formazione culturale cristiana del nostro paese, esclude. In Italia i disabili
che lavorano sono pochi, eppur tanti avrebbero i mezzi psichici e fisici per
svolgere un’attività che concorra al progresso materiale, eppure non riescono a
trovare lavoro. Da un lato ci sono i canali di inserimento dei disabili
nell’impiego che non funzionano. Le “categorie protette”, come vengono dette le
persone che sono iscritte al collocamento pubblico essendo invalide, non sono
affatto tutelate. Dall’altra c’è una cultura distorta, che vede il disabile
come un usurpatore di lavoro e di reddito. La stessa logica che alimenta l’odio
xenofobo verso gli immigrati, anche loro visti come “ruba lavoro”. La Carta
Costituzionale ci insegna che il diritto dell’altro non deve voler dire un
“rubare” qualcosa a te. Se un disabile ha un lavoro, non lo ruba a te, ma
esercita il diritto alla realizzazione personale insieme con te. I disabili, i
disoccupati cronici, tutti gli emarginati sociali sono visti come un pericolo
dagli “altri”. Come coloro che vorrebbero prenderti il posto. Proviamo invece a
cambiare completamente punto di vista. Le parole di papa Francesco, che
invitano all’inclusione, secondo me non valgono solo per il cattolico. Il pontefice
indica una strada per costruire una società migliore nell’accoglienza,
nell’abbraccio dell’altro, concetti che non sono lungi dai dettami
costituzionali. Allora proviamo a costruire veramente una nazione includente,
proviamo a rendere il lavoro strumento per crescere insieme come collettività,
niente esclusione niente rancore. A questo punto vorrei provare ad invitare
tutti a portare nei luoghi in cui lavorano quei valori di solidarietà di
comunanza di fratellanza che rendono possibile debellare l’emarginazione e il
rancore. Sono oggi valori di pochi, ma che potrebbero diventare valori di tutti
contribuendo così a rendere l’Italia intera una nazione migliore.
Testo di Giovanni Falagario
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