NACQUE LEOPARDI
Il 29/06/1798 nacque a Recanati Giacomo Leopardi. Il
fanciullo sarebbe stato colui che avrebbe rivoluzionato l’arte di far poesia
nell’Italia preunitaria. La sua capacità di scrivere versi nuovi, autentici,
che vanno al di là degli schemi rigidi dell’allora arte poetante, ha
rivoluzionato radicalmente il modo di pensare il verso non solo fra i dotti ma
anche fra la gente comune. Scrivere in versi da allora, anche nel nostro paese,
è diventato uno strumento per disvelare la propria anima, anche per persone che
non hanno un grandissimo bagaglio grammaticale e lessicale. Ricordiamo che
Giacomo Leopardi ha comunque una profonda conoscenza della cultura classica
greca e romana, giovanissimo conosce il Greco Classico e le sue regole metriche
ed oratorie. Malgrado questo rivoluziona i canoni classici, la sua composizione
poetica ottocentesca è, diciamolo, un sovvertimento delle regole classiche . D’allora
la poesia serve per ricordare i rumori familiari del villaggio, della campagna
abitata dai contadini e dalle allevatrici, per ricordare i suoni dolci che
provengono dalla solida casa familiare. Insomma Leopardi è stato capace di
rendere poesia il quotidiano. La donzelletta che vien dalla campagna, il
pastore che conduce il gregge, il suono “chioccio” della gallina sono diventati
elementi letterari grazie allo sforzo intellettuale del poeta di Recanati. È un
vera e propria rivoluzione. Un capovolgimento delle regole del canto poetico
che influenzerà l’opera di altri grandi intellettuali, pensiamo alla poetica di
Giovanni Pascoli, ma non è solo lui che ha come punto di riferimento Giacomo
Leopardi. Anche Giosuè Carducci si fece invadere dalla poesia leopardiana, fino
al punto che le sue “Odi Barbare” hanno si il piglio classico ma rompono gli
schemi oratori del passato. Anche i grandi poeti ermetici del ‘900 si fecero
influenzare da Leopardi, anche quando provarono e riuscirono a rovesciare il
suo impianto poetico. Ad esempio la poesia ermetica, quella di Ungaretti,
Quasimodo e Montale, era l’opposto di quella Leopardiana, cercava nell’asciuttezza
dello scrivere il cogliere l’essenza dell’uomo. Non avrebbero mai riconosciuto nella
lunghezza del racconto ad esempio della “Ginestra”, uno degli idilli (così
chiama i suoi canti) più importanti del recanatese, il centro della poesia. Ma
hanno apprezzato lo splendore dell’”Infinito”, capace di raccontare l’assoluto
solo descrivendo una siepe e alludendo a ciò che potrebbe essere oltre, una
delle poesie più dense di significato di Leopardi. Insomma Leopardi è allo
stesso tempo poeta delle piccole cose e cantore dell’Universo, che lascia
annichilito il pensiero umano. È il poeta che canta il pastore errante dell’Asia,
rimasto basito della sproporzionata assolutezza delle stelle di fronte alla disperata
finitezza dell’essere umano. Insomma la poesia di Leopardi contiene tanto,
forse troppo, pensiero per essere interamente compreso. È il cantore dell’infinitamente
semplice e piccolo e dell’immensamente complesso e grande. È colui che si
innamora della nobile signora come della semplice donna di paese, Silvia, e sa
cogliere in tutte le due figure la bellezza e la perfezione assoluta, purtroppo
segnata dalla natura crudele che segna la decadenza di ogni cosa, anche le cose
più care al cuore. Ecco perché la “rimembranza”, il ricordo del fugace attimo
di gioia e di bellezza, è l’aspetto centrale della poesia di Leopardi. Nulla si
percepisce nella sua interezza al momento che avviene, anche l’innamoramento,
pur essendo bellissimo, non può essere percepito interamente se non diventa
ricordo. Ecco uno degli aspetti più tristi della poetica leopardiana, dove si
annida il suo vero pessimismo, la felicità non può essere veramente vissuta ma
solo ricordata e, quindi, rimpianta. Ma mi permetto di dire che questo è ciò
che rende grande il poeta morto a Napoli il 14 giugno 1837, la sua capacità di
esprimere nel suo canto il struggersi dell’animo umano che coglie ciò che è l’essenza
del vivere, che la sfiora, che ci va vicino, che quasi l’accarezza, ma non la
può vivere compiutamente, la può solo ricordare come in un rimpianto di cosa
perduta per sempre. Allora rileggiamo Giacomo Leopardi, rileggiamo i suoi
Canti, è cerchiamo con lui il bello che abbiamo perso nella speranza mai doma
di ritrovarlo un po’ più avanti nella nostra vita.
Nessun commento:
Posta un commento