lunedì 29 giugno 2020

AUGURI GIACOMO



NACQUE LEOPARDI

Il 29/06/1798 nacque a Recanati Giacomo Leopardi. Il fanciullo sarebbe stato colui che avrebbe rivoluzionato l’arte di far poesia nell’Italia preunitaria. La sua capacità di scrivere versi nuovi, autentici, che vanno al di là degli schemi rigidi dell’allora arte poetante, ha rivoluzionato radicalmente il modo di pensare il verso non solo fra i dotti ma anche fra la gente comune. Scrivere in versi da allora, anche nel nostro paese, è diventato uno strumento per disvelare la propria anima, anche per persone che non hanno un grandissimo bagaglio grammaticale e lessicale. Ricordiamo che Giacomo Leopardi ha comunque una profonda conoscenza della cultura classica greca e romana, giovanissimo conosce il Greco Classico e le sue regole metriche ed oratorie. Malgrado questo rivoluziona i canoni classici, la sua composizione poetica ottocentesca è, diciamolo, un sovvertimento delle regole classiche . D’allora la poesia serve per ricordare i rumori familiari del villaggio, della campagna abitata dai contadini e dalle allevatrici, per ricordare i suoni dolci che provengono dalla solida casa familiare. Insomma Leopardi è stato capace di rendere poesia il quotidiano. La donzelletta che vien dalla campagna, il pastore che conduce il gregge, il suono “chioccio” della gallina sono diventati elementi letterari grazie allo sforzo intellettuale del poeta di Recanati. È un vera e propria rivoluzione. Un capovolgimento delle regole del canto poetico che influenzerà l’opera di altri grandi intellettuali, pensiamo alla poetica di Giovanni Pascoli, ma non è solo lui che ha come punto di riferimento Giacomo Leopardi. Anche Giosuè Carducci si fece invadere dalla poesia leopardiana, fino al punto che le sue “Odi Barbare” hanno si il piglio classico ma rompono gli schemi oratori del passato. Anche i grandi poeti ermetici del ‘900 si fecero influenzare da Leopardi, anche quando provarono e riuscirono a rovesciare il suo impianto poetico. Ad esempio la poesia ermetica, quella di Ungaretti, Quasimodo e Montale, era l’opposto di quella Leopardiana, cercava nell’asciuttezza dello scrivere il cogliere l’essenza dell’uomo. Non avrebbero mai riconosciuto nella lunghezza del racconto ad esempio della “Ginestra”, uno degli idilli (così chiama i suoi canti) più importanti del recanatese, il centro della poesia. Ma hanno apprezzato lo splendore dell’”Infinito”, capace di raccontare l’assoluto solo descrivendo una siepe e alludendo a ciò che potrebbe essere oltre, una delle poesie più dense di significato di Leopardi. Insomma Leopardi è allo stesso tempo poeta delle piccole cose e cantore dell’Universo, che lascia annichilito il pensiero umano. È il poeta che canta il pastore errante dell’Asia, rimasto basito della sproporzionata assolutezza delle stelle di fronte alla disperata finitezza dell’essere umano. Insomma la poesia di Leopardi contiene tanto, forse troppo, pensiero per essere interamente compreso. È il cantore dell’infinitamente semplice e piccolo e dell’immensamente complesso e grande. È colui che si innamora della nobile signora come della semplice donna di paese, Silvia, e sa cogliere in tutte le due figure la bellezza e la perfezione assoluta, purtroppo segnata dalla natura crudele che segna la decadenza di ogni cosa, anche le cose più care al cuore. Ecco perché la “rimembranza”, il ricordo del fugace attimo di gioia e di bellezza, è l’aspetto centrale della poesia di Leopardi. Nulla si percepisce nella sua interezza al momento che avviene, anche l’innamoramento, pur essendo bellissimo, non può essere percepito interamente se non diventa ricordo. Ecco uno degli aspetti più tristi della poetica leopardiana, dove si annida il suo vero pessimismo, la felicità non può essere veramente vissuta ma solo ricordata e, quindi, rimpianta. Ma mi permetto di dire che questo è ciò che rende grande il poeta morto a Napoli il 14 giugno 1837, la sua capacità di esprimere nel suo canto il struggersi dell’animo umano che coglie ciò che è l’essenza del vivere, che la sfiora, che ci va vicino, che quasi l’accarezza, ma non la può vivere compiutamente, la può solo ricordare come in un rimpianto di cosa perduta per sempre. Allora rileggiamo Giacomo Leopardi, rileggiamo i suoi Canti, è cerchiamo con lui il bello che abbiamo perso nella speranza mai doma di ritrovarlo un po’ più avanti nella nostra vita.

Nessun commento:

Posta un commento