LA FACILE SOLUZIONE
Tutto deve apparire come si vuole che appaia. Il gioco delle
parti, le regole sociali, devono coprire la verità. È la tesi che pervade la
società siciliana, ma, ponendo una lente su una parte per raccontare il tutto,
anche l’intera società italiana. È ciò che denuncia Leonardo Sciascia nei suoi
libri. Lo scrittore racconta di un mondo torbido, fatto di violenza e
prevaricazione, in cui l’unico scampolo di normalità è nell’apparenza. Tutta la
sua opera letteraria si fonda sulla destrutturazione della narrazione falsa di
una realtà che segue una presunta logica fatta dal cosiddetto senso comune, che
ad un’analisi attenta dei fatti viene appunto destrutturata, appalesata come
falsa. Ma questa scoperta non rende gli autori del disvelamento campioni della
società e tanto meno eroi, ma a loro volta sconfitti. È quello che succede al capitano
dei Carabinieri, Belloni, ne “Il Giorno
della civetta”. Il rappresentante delle forze dell’ordine che si trova ad
indagare sull’omicidio di Salvatore Colasberna, piccolo imprenditore edile di
Sciacca nel catanese, e si trova davanti un crogiolo di interessi in cui
spuntano politici e mafiosi. Un rutilante intrigo di interessi è la causa dell’omicidio.
Ma alla fine il comandante deve arrendersi allo stato delle cose, e lasciare
che il caso sia impunito di fatto. Nel libro c’è la notissima distinzione fra “Uomini”,
Ominicchi” e “quaquaraqua” che il capo clan don Mariano Arena spiega al
capitano Belloni, in un incontro fra i due che il cuore del romanzo sciasciano.
Tutti la sappiamo la distinzione. Ci sono gli “Uomini” che sono coloro che si
assumo le loro responsabilità, dicono una cosa e la fanno, fanno un patto e lo
mettono all’opera fino alla sua esecuzione, sono profondamente coerenti con se
stessi e con ciò che pensano. Questi possono essere sia uomini dello stato, sia
mafiosi, la connotazione morale che pone gli “uomini” al di sopra degli altri è
oltre ed è al di sopra del codice penale. Ovviamente questo secondo don Arena,
per lui si può essere autori dei più efferati reati sempre rimanendo ligi ai
propri “principi” (scusate ma le virgolette mi appaiono necessarie visto che si
parla anche delle convinzioni di criminali mafiosi). Poi ci sono gli “ominicchi”
quelli che fanno un passo indietro quando rimanere sulla propria strada
significa calpestare il piede a uno potente. Insomma quelli che “si fanno i
fatti loro” per paura della propria incolumità fisica e per evitare che la
propria vita sia segnata da una qualche tempesta causata dall’aver incrociato
la strada di persone più forti. Poi ci sono gli ultimi, gli infami, i
traditori, “i quaquaraqua”. Sono quelli che fanno la spia, che sono gli infami,
che si vendono agli “sbirri” se sono mafiosi e che aiutano la mafia se sono,
apparentemente, dalla parte dello stato. Questa tripartizione è rimasta proverbiale
e indiscutibilmente preziosa per conoscere ontologicamente la cultura
criminale. Sciascia racconta di un mondo mafioso che si sente pari con lo
stato, alle volte si sente anche superiore, vuole dominare il suo territorio
come la Repubblica domina il proprio. Ovvio che lo scrittore non è affatto d’accordo
con questa logica, che porta a una rigidità dei ruoli che è causa di
immutabilità. La Sicilia è luogo di mafia, questa è la tesi di fondo dei
parrino Arena, lo stato, che in fondo vuol dire i cittadini che fanno il loro
dovere e sono onesti, sono ospiti e se scocciano, non si lamentino se hanno una
pallottola in fronte o sono “incaprettati”! La “facile soluzione” è lasciare le
cose come stanno. Lasciare che il potere mafioso faccia i suoi comodi, sporchi,
affari. Lasciare che un omicidio di un uomo dabbene sia qualificato come “un
fatto di corna”, senza ulteriori approfondimenti. Lasciare che politici e capi
mafia si incontrino e si spartiscano prebende e autorità. Sciascia sa che l’alternativa
non è facile. Sa realmente che lasciare le cose come stanno è la “facile
soluzione”. Ma i suoi personaggi, dal farmacista di “Todo modo”, al carabiniere
del “Giorno della civetta”, all’autore stesso che indefesso cerca la verità
delle cose (ricordiamo fra l’altro che Sciascia è stato un componente della
commissione bicamerale sul sequestro Moro), non ci stanno. È la stessa
caparbietà che ha caratterizza il lavoro giudiziario di Giovanni Falcone, Paolo
Borsellino e tanti altri magistrati. La soluzione facile è arrendersi alla
mafia, ma noi, seguendo l’esempio dei gradi, preferiamo quella difficile..
combatterla.
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