martedì 30 giugno 2020

PARLANDO DI COSTUZIONE



ARTICOLO 38 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e l’assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minori hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

L’assistenza privata è libera”

L’articolo 38 della Costituzione garantisce il diritto alla vita dignitosa di coloro che sono inabilitati al lavoro a causa di una malattia cronica o momentanea. Chi non è nella possibilità di avere reddito a causa di una patologia ha diritto al mantenimento e all’assistenza. Ha diritto ad essere curato, assistito. È un principio basilare. Chi è in ambasce non deve rimanere solo. La Repubblica si impegna ad assisterlo. Questo è il moto solidale che ha spinto a scrivere questo articolo della Costituzione. La malattia e la disabilità può portare agli abissi della disperazione. Le difficoltà fisiche si accompagnano alla miseria sociale ed economica. La storia ci insegna che nei millenni passati il malato era spesse volte all’ultimo gradino della scala sociale. Basti pensare al lebbroso, scacciato e reietto dalla comunità, che Gesù di Nazareth monda dalla malattia e dal peccato nei Vangeli.  Questo stato di cose deve essere superato. La civiltà moderna ha scoperto il valore della solidarietà. Il prendersi cura dell’altro è il fondamento del vivere sociale della comunità statuale del XX e XXI secolo. Troppo spesso, però, lo stato non garantisce adeguatamente le persone in difficoltà. Troppo spesso il malato e il disabile è lasciato solo. Non gli sono garantite le cure necessarie, non gli è garantito il diritto alla dignità a causa di una legislazione e di un’amministrazione pubblica che troppo spesso latita. Lo stato non è riuscito a creare una struttura assistenziale adeguata alle esigenze della comunità. L’impegno della società civile, del volontariato, ha sopperito alle mancanze istituzionali. Troppo spesso medici, personale paramedico, familiari devono sopperire con il lavoro gratuito alle mancanze istituzionali. Questo dimostra lo straordinario afflato alla solidarietà che caratterizza molti. Allo stesso tempo è la lampante dimostrazione di come le storture del nostro sistema statuale siano da freno all’applicazione dei dettami costituzionali. Il Sistema Sanitario nazionale deve farsi carico dei bisogni del malato. È inaccettabile che, se si è affetti da una malattia cronica, non si possa avere un’adeguata assistenza. Lo stato deve impegnarsi a superare i suoi limiti. Le Regioni devono adempiere il loro compito costituzionale di gestire la sanità e tutelare la salute del cittadino. Il diritto alla salute, il diritto a vivere bene, è uno dei cardini del welfare. Chi sta male ha diritto a curarsi. Se un lavoratore è inabilitato, per una malattia o per il sopraggiungere del peso della vecchiaia, ha diritto ad avere una assistenza adeguata e ha diritto a non perdere il cespite economico. La malattia non deve essere motivo per perdere la paga. È uno dei capisaldi della solidarietà sociale. In caso di inabilità sopraggiunta al lavoro, il lavoratore ha diritto a continuare ad avere reddito. È lo stato, attraverso appositi enti, a sostenere le cure e a provvedere alla difesa del reddito del soggetto. L’INAIL è l’ente pubblico preposto a tale scopo. In passato chi cadeva in malattia, chi aveva un infortunio grave, era destinato a perdere il lavoro e cadere in povertà. Nei secoli la solidarietà popolare ha creato le casse di comune mutualità. Il principio era che chi stava in salute e lavorava si impegnava a dare una parte del proprio salario a un apposita associazione di lavoratori, la mutua, che distribuiva il denaro raccolto ai malati e agli inabili. Questa solidarietà sociale è stata il simbolo di una cultura popolare genuina, impegnata al prendersi cura dell’altro. Il socialismo si è fondato proprio su questo, sull’idea che l’esempio di mutuo soccorso dei lavoratori salariati possa poter costruire una società fondata non sul prevaricare l’altro, ma sul reciproco aiuto. Ora non chiediamoci la realizzabilità di questo progetto. Il sogno di una società fondata sulla comunanza ha prodotto dei mostri, come ad esempio il comunismo sovietico. Quello che ci interessa è notare come l’idea di mutuo soccorso, l’idea che chi ha un problema di salute debba essere supportato dalla collettività, si fondi sulle idee nate dal proletariato sfruttato e derelitto dei secoli XVIII , XIX e XX. Lo stato moderno ha fatto propri quei principi. Le democrazie europee hanno fatto propri i principi di mutualità. Quelle “casse di mutuo soccorso” non sono scomparse. Sono state integrate in un complesso sistema mutualistico che prevede la presenza dello stato assieme a quella delle associazioni dei lavoratori. Oggi il sistema di assistenza nazionale è un sistema complesso in cui la spesa pubblica e il contribuito dei singoli lavoratori interagiscono a garantire il reddito di coloro che non possono lavorare per motivi di varia natura. Anche i disoccupati involontari, cioè che non scelgono ma subiscono la mancanza di lavoro, hanno diritto a un assegno di sostentamento. È la costituzione che lo dice. Gli inabili e i minorati, brutta espressione frutto di un tempo lontano, hanno diritto ad essere avviati al lavoro. Insomma c’è un rovesciamento della cultura del passato. I disabili in passato erano reietti. Oggi la costituzione impone che abbiano un ruolo sociale. L’articolo 38 è chiaro. Chi ha una disabilità psicomotoria o di qualsiasi altro genere deve essere inserito nel mondo del lavoro. Ricordiamo la disabilità mentale, che ancor oggi non ha un adeguato riconoscimento sociale, chi vive questo problema è spesso relegato ed emarginato, invece di essere supportato e inserito nel tessuto sociale. Bisogna cambiare questo stato di cose con un adeguato investimento nei centri di riabilitazione dei soggetti che hanno patologie psicologiche e psichiatriche. La Repubblica si impegna a dare gli strumenti per superare i limiti fisici e psicologici che potrebbero impedire al disabile di inserirsi nel mondo del lavoro. È una rivoluzione copernicana. Dall’isolamento si giunge alla compartecipazione. Per mettere in atto questo principio costituzionale la Repubblica ha previsto che vi siano insegnati definiti di sostegno nella scuola pubblica e privata. Docenti che sostengano, attraverso un rapporto definito “uno a uno”, il processo di apprendimento di un bambino disabile che ha bisogno di attenzioni particolari per poter conseguire risultati scolastici eccellenti. Insomma la riforma della scuola, avvenuta a cavallo degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, è stata anche latrice di una nuova filosofia della formazione del soggetto disabile. Prima chi era disabile era indirizzato alle cosiddette “scuole speciali”con la riforma il bambino è inserito nel tessuto sociale della classe e compartecipa alla crescita collettiva in un fruttuoso interagire fra i ragazzi disabili e i “normodotati”. Tutto non questo sarebbe stato impossibile senza la nostra costituzione repubblicana. Al fine è giusto ricordare l’ultimo comma dell’articolo 38. Lo Stato si impegna a creare istituti pubblici di soccorso ai malati cronici e non. Allo stesso tempo riconosce e garantisce l’attività privata nell’ambito dell’assistenza. “L’assistenza privata è libera” dice l’ultimo comma dell’articolo. Che vuol dire? Che vi possono essere strutture di soccorso al malato fondate sulla mutualità e sull’impegno associazionistico, ma vi possono essere istituzioni private che curano ed assistono per fare profitto. Ci possono essere ospedali che chiedono un compenso per curare. Non bisogna dare un giudizio morale su tali istituzioni. Tanti istituti ospedalieri privati, tante strutture di accoglienza private, sono ottime e offrono aiuto al malato. È giusto che insieme alla mutualità, al volontariato e all’impegno del pubblico vi sia anche il privato nell’ambito sanitario. Il problema è riuscire a trovare un modo per evitare che questo connubio non depauperi il patrimonio di cultura, di solidarietà e di impegno come purtroppo spesso avviene. Leggiamo ogni giorno di scandali e tangenti legati allo strano connubio fra enti statuali e sanità privata.  L’articolo 38 è il monito a costruire una società a misura del malato. È l’impegno della Repubblica a supportare chi è in una fase spesso difficilissima della vita. Pensiamo a chi è affetto da malattia grandemente debilitante. È giusto che sia rispettato il suo afflato solidale. È giusto che lo stato, le istituzioni nazionali e locali, le associazioni di volontariato del settore, i singoli cittadini si impegnino quotidianamente ad attuarlo. Si impegno ad assistere chi è più debole e bisognoso.
Testo di Pellecchia Gianfranco

Nessun commento:

Posta un commento