mercoledì 10 giugno 2020

L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO



L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO

Questa è una delle commedie più brillanti della storia del teatro. Commedia finita di scrivere nel 1895 e presentata al teatro di Londra St. Janes’s, ha come tema le convenzioni sociali. Le regole di “buona creanza”, per usare un termine del passato, sono il fondamento della vita sociale. Bisogna chiamarsi Ernesto, cioè bisogna apparire onesti (il nome proprio inglese Honest se si scrive la “h” minuscola ha il significato di onesto). Per questo motivo Jack Worthing, personaggio principale della commedia, decide di mutare il proprio nome di battesimo per conquistare e coniugarsi con la signorina Gwendolen Fairfax, decisa a sposare solo colui che si chiami “Honest”, cioè solo una persona onesta. Si serve, per raggiungere tale scopo, della sua conoscenza con il cugino della giovin pulzella, Algernon Moncrieff. Ora bisogna chiarire che Jack ha una doppia vita, vive in campagna, e dice ai vicini che periodicamente è costretto a recarsi a Londra per soccorrere il suo fratello scapestrato, in realtà inesistente. Jack va a Londra non per darsi ai bagordi, urge spiegare, ma per accedere a quel minimo di vita mondana che la vita rupestre gli preclude. Londra è per lui l’incontro con gli amici e, soprattutto, il luogo dell’amore, perché lì vive Gwendolen. Il primo atto consiste proprio nel racconto degli incontri sociali a Londra. Gwendolen affascinata dal giovane spasimante, decide di indagare sulla sua vita campestre, decide di arrivare ala di lui sede di campagna. Anche Algernon Moncrieeff decide di andare a trova l’amico in campagna. Incontra Cecily, una giovane tenutaria rimasta orfana, di cui si innamora. Algemon si presenta anch’esso come Ernesto. E dopo una estenuante corte si fidanza con Cecily. All’arrivo in campagna le due donne si incontrano, fanno amicizia, e scoprono di essere ambedue innamorate, ricambiate, di Ernesto. Scandalo e stupore. Le due sono decise a chiedere spiegazioni, all’oscuro di essere innamorate di due uomini diversi, convinte di trovarsi di fronte a un fidanza spergiuro e bigamo. In realtà l’incontro con i due innamorati chiarisce l’equivoco. Le due si riscoprono fidanzate di due uomini diversi e possono giustamente convolare a giuste nozze. Il terzo atto è un’agnizione. Lady Moncrieff, la mamma di Gwendolen, è intenzionata a non permettere che Jack – Honest sposi sua figlia. Chiede il repentino intervento di Algernon. Ma qui avviene il colpo di scena. L’istitutrice di Algernon riconosce in Jack il fratello di Monrieff scomparso ancora in fasce. Guarda caso il suo vero nome, il nome dato lui dalla famiglia nobile, è proprio Honest, Onesto, Ernesto. Allora le nozze possono avvenire. Le due coppie vivranno per sempre felici e contenti. La commedia di Oscar Wilde è un ridanciano prendersi gioco delle regole sociali della borghesia benestante inglese del XIX secolo. Quello che conta è il nome. Gli affetti, i sentimenti, le passioni, ma anche le più importanti regole fondate sui valori vengono in secondo piano. Non è importante essere, ma apparire. Tutto è un rutilante gioco di ruoli che disperde l’essenza del proprio io. Oscar Wilde è stato una vittima dei pregiudizi della sua epoca. Omosessuale, è stato condannato alle prigioni per la sua storia d’amore con un amico più giovane. Nulla è valso. La sua arte, la sua intelligenza, la sua capacità di raccontare la vita con schiettezza non gli sono stati capaci di garantire la liberta. Essere “Onesto” non conta di fronte al “chiamarsi Ernesto”. Cioè apparire uomo dabbene è più importante di essere uomo probo e anche brillante. Le apparenze sono le catene che imprigionano ogni essere umano al sociale, negandogli di esprimere liberamente la propria essenza. La Commedia finisce bene, secondo le regole sceniche che impongono che questo tipo di prova teatrale sia caratterizzata da leggerezza e lieto fine. Ma rimane l’amaro in bocca della coscienza che noi tutti, esattamente come i protagonisti della “Importanza di chiamarsi Ernesto”, oggi come secoli addietro, in Italia come in Inghilterra, siamo schiavi di pregiudizi che ci impongono di essere giudicati e giudicare solo attraverso ciò che appare, rinunciando a cercare ciò che è. Mi viene in mente episodi come gli incontri con estranei che inducono a preconcetti sbagliati. È tempo di abbattere i muri che impediscono di scoprire l’anima altri, e cercare l’essenza dell’altro anche per riscoprire il vero che c’è in ognuno di noi.

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