martedì 2 giugno 2020

L'AMERICA IN SUBBUGLIO



AMERICA

Quello che è successo a Minneapolis il 30 maggio 2020 segnerà profondamente la vita sociale degli USA. La morte di George Floyd, un afroamericano, ha messo nuovamente in discussione la pace sociale del paese. Ricordiamo che Floyd è morto soffocato ad opera di un poliziotto bianco. Il cui nome è Darek Chauvin che ha soffocato la vittima ponendogli un ginocchio sul collo. Questo gravissimo episodio ha provocato in questi giorni la protesta vibrata e, purtroppo, in alcuni momenti significativi violenta dalla comunità di colore statunitense. Perfino la Casa Bianca è stata letteralmente ostaggio dei manifestanti. Donald Trump, il presidente, e rimasto intrappolato nella sua residenza, non potendo uscire da lì se non attraverso l’uso di elicotteri o uscite non conosciute al pubblico. Il presidente intrappolato ha accusato apertamente il sindaco di Washington, rea, si tratta di una donna, di aver costretto alla cattività il primo cittadino degli States. Trump ha richiamato il senso di insicurezza, sentimento che non è solo suo ma di gran parte della popolazione. Non ha mancato di denunciare le colpe di Barack Obama, l’ex presidente, per questo senso di insicurezza che caratterizza la società in questo tempo. Ma quello che vorrei sottolineare è il sommovimento che caratterizza ormai molte città americane. Le proteste non sono a Minneapolis, sono anche in tutte le grandi città americane. Abbiamo ricordato le manifestazioni di Washington che hanno circondato la Casa Bianca, ma è bene ricordare il manifestare di Los Angeles, di New York e di molte altre metropoli. Noi abbiamo ricordato in altri scritti gli scontri violenti che ci sono stati, i quali hanno provocato morti e feriti fra cittadini e forze dell’ordine, fino al punto da provocare un morto e molti feriti. Questo è deprecabile. Bisogna tendere a costituire una società che dialoga e si confronta ripudiando ogni forma di violenza. Ma quello che urge sottolineare è che il ribellarsi della popolazione, di colore ma non solo, alla violenza contro Floyd e gli altri come lui, è un modo per poter costruire una comunanza di persone che si fonda sulla convivenza pacifica, e ripudia radicalmente ogni forma di strumento cruento per affermarsi come persona e per mettere ordine nella comunità. Vivere pacificamente è l’unico mezzo per vivere meglio. Se perfino l’uomo più potente del mondo, Donald Trump, è rimasto prigioniero degli scontri e della violenza non riuscendo a gestire la propria vita, vuol dire che la società non riesce a creare quelle basi di sicurezza che è il presupposto per vivere una vita bella. In America, e purtroppo non solo lì, non si può uscire di casa senza rischiare di essere vittima di violenza “istituzionalizzata” (la polizia che uccide un cittadino) oppure dalla criminalità comune e no. Questo stato di cose è necessario che cambi. Bisogna che l’altro non sia più visto come un pericolo per la propria stessa vita. Questo non è certo un obbiettivo facilmente raggiungibile. Ma è l’unico modo per costruire una società migliore. Bisogna fondare il nostro agire sociale e politico sul sentimento della comunanza, sulla convinzione che se la vita del mio prossimo migliora anche la mia vita. Il benessere di chi mi sta vicino produce il mio benessere. Allora sperare che la pace torni, sperare che le violenze razziali e fasciste, penso a organizzazioni quali il clux xlu clan, che sfruttano le dicotomie fra comunità bianca e nera per fomentare il male. Bisogna rispondere a questa cultura dell’odio con una coltura (intendo coltivazione, fare cresce come un albero), della pace.

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