AMERICA
Quello che è successo a Minneapolis il 30 maggio 2020
segnerà profondamente la vita sociale degli USA. La morte di George Floyd, un
afroamericano, ha messo nuovamente in discussione la pace sociale del paese.
Ricordiamo che Floyd è morto soffocato ad opera di un poliziotto bianco. Il cui
nome è Darek Chauvin che ha soffocato la vittima ponendogli un ginocchio sul
collo. Questo gravissimo episodio ha provocato in questi giorni la protesta
vibrata e, purtroppo, in alcuni momenti significativi violenta dalla comunità
di colore statunitense. Perfino la Casa Bianca è stata letteralmente ostaggio
dei manifestanti. Donald Trump, il presidente, e rimasto intrappolato nella sua
residenza, non potendo uscire da lì se non attraverso l’uso di elicotteri o
uscite non conosciute al pubblico. Il presidente intrappolato ha accusato
apertamente il sindaco di Washington, rea, si tratta di una donna, di aver
costretto alla cattività il primo cittadino degli States. Trump ha richiamato
il senso di insicurezza, sentimento che non è solo suo ma di gran parte della
popolazione. Non ha mancato di denunciare le colpe di Barack Obama, l’ex
presidente, per questo senso di insicurezza che caratterizza la società in
questo tempo. Ma quello che vorrei sottolineare è il sommovimento che
caratterizza ormai molte città americane. Le proteste non sono a Minneapolis,
sono anche in tutte le grandi città americane. Abbiamo ricordato le
manifestazioni di Washington che hanno circondato la Casa Bianca, ma è bene
ricordare il manifestare di Los Angeles, di New York e di molte altre
metropoli. Noi abbiamo ricordato in altri scritti gli scontri violenti che ci
sono stati, i quali hanno provocato morti e feriti fra cittadini e forze dell’ordine,
fino al punto da provocare un morto e molti feriti. Questo è deprecabile.
Bisogna tendere a costituire una società che dialoga e si confronta ripudiando
ogni forma di violenza. Ma quello che urge sottolineare è che il ribellarsi
della popolazione, di colore ma non solo, alla violenza contro Floyd e gli
altri come lui, è un modo per poter costruire una comunanza di persone che si
fonda sulla convivenza pacifica, e ripudia radicalmente ogni forma di strumento
cruento per affermarsi come persona e per mettere ordine nella comunità. Vivere
pacificamente è l’unico mezzo per vivere meglio. Se perfino l’uomo più potente
del mondo, Donald Trump, è rimasto prigioniero degli scontri e della violenza
non riuscendo a gestire la propria vita, vuol dire che la società non riesce a
creare quelle basi di sicurezza che è il presupposto per vivere una vita bella.
In America, e purtroppo non solo lì, non si può uscire di casa senza rischiare
di essere vittima di violenza “istituzionalizzata” (la polizia che uccide un
cittadino) oppure dalla criminalità comune e no. Questo stato di cose è
necessario che cambi. Bisogna che l’altro non sia più visto come un pericolo
per la propria stessa vita. Questo non è certo un obbiettivo facilmente
raggiungibile. Ma è l’unico modo per costruire una società migliore. Bisogna
fondare il nostro agire sociale e politico sul sentimento della comunanza,
sulla convinzione che se la vita del mio prossimo migliora anche la mia vita.
Il benessere di chi mi sta vicino produce il mio benessere. Allora sperare che
la pace torni, sperare che le violenze razziali e fasciste, penso a
organizzazioni quali il clux xlu clan, che sfruttano le dicotomie fra comunità
bianca e nera per fomentare il male. Bisogna rispondere a questa cultura dell’odio
con una coltura (intendo coltivazione, fare cresce come un albero), della pace.
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