sabato 27 giugno 2020

QUARANTA ANNI FA SUI CIELI DI USTICA



QUARANTA ANNI DI ATTESA

Era il 27 giugno 1980. Un aereo della linea “Itavia” stava sorvolando il mare antistante la Sicilia. Era partito da Bologna ed era diretto all’aeroporto di Palermo “Punta Raisi”. Quel veicolo cadde in mare e portò con sé la vita di 115 persone, equipaggio compreso, e lasciò nel dolore i familiari. Sono passati esattamente quattro decenni ed ancora oggi non si sa cosa sia successo esattamente quel dì nei cieli italiani. Il pianto dei congiunti delle vittime non ha spinto le istituzioni a rintracciare il bandolo della matassa. Ad un primo acchito si pensò a un tragico guasto meccanico o ad un errore dei piloti. Ma nulla degli esami dei tabulati radar del giorno, delle analisi dei resti, faticosamente e costosamente recuperati in anni di ricerca sottomarina, avvalorava tali ipotesi. Alcuni periti del processo che si aprì all’indomani della strage scoprirono che la dinamica dell’incidente era compatibile ed avvalorava l’ipotesi che un missile di natura militare, un ordigno che solitamente ha un Caccia in dotazione all’aeronautica di difesa di un qualsiasi stato, possa aver colpito e tragicamente abbattuto l’aereo di linea civile. Ma questa clamorosa rivelazione non aiutò certo a chiarire la dinamica dei fatti che la sera di quell’inizio d’estate degli anni ’80 erano successi. Le diatribe continuarono alacremente. Alcuni spezzoni delle indagini portavano a collegare l’abbattimento dell’aereo civile al quasi contemporaneo precipitare di un aereo militare libico, un MIG di fabbricazione Russa (allora ancora Unione Sovietica), quell’aereo aveva solo il pilota a bordo e ancora oggi non si sa perché si trovasse in spazi territoriali italiani e, soprattutto, se il suo battimento fosse un’azione di difesa aerea fatta presuntamente da aeromobili NATO in assetto di difesa, contro un’azione considerata ostile. Si pensa addirittura che l’abbattimento del MIG libico fosse stato voluto dal comando generale del Patto Atlantico nella convinzione che a bordo vi fosse il leader e dittatore, Muammar Gheddafi, e in quella operazione, per errore si sarebbe abbattuto anche l’aereo Itavia. Una cosa è certa il capo di Tripoli su quel MIG non c’era, sarebbe morto decenni dopo ucciso dai suoi stessi compatrioti nella guerra civile che ancor oggi infiamma lo stato del Nord Africa. Allora che dire della strage di Ustica, l’isola sui cui cieli è esploso per poi precipitare l’aereo con tanti civili a bordo? Solo il dolore delle famiglie è rimasto e non riesce ad rimarginarsi. Quaranta anni che attendono una risposta, che chiedono una spiegazione a quell’evento così terribile. La portaerei americana Saratoga, ancorata in quei dì nel Golfo di Napoli, sembra avesse i suoi radar spenti per manutenzione. Questo è almeno la tesi ufficiale. Di conseguenza non avrebbe “visto” quello che succedeva nei cieli. Appare difficile che possa avvenire che una nave USA scelga di chiudere “i propri occhi” se situata in uno scenario delicato e importante, soprattutto ai tempi della “Guerra Fredda”, come il Mediterraneo. Forse l’ammiraglio che la guidava ha avuto ordine di tacere su fatti che magari non solo si sono visti su quella nave, ma anche su avvenimenti in cui la portaerei avrebbe avuto un ruolo di supporto logistico. Anche i radar italiani, situati a Roma e a Palermo, avrebbero “non visto”, difficile credere a tale tesi, facile propendere a pensare a un loro silenzio che è sinonimo di complicità Non è un caso che i giudici, in particolare il magistrato Priore, abbiano aperto un’inchiesta parallela sul silenzio degli operatori radar del Ministero della Difesa italiana, con condanne anche significative a diversi anni. Insomma Ustica rimane un mistero. Ancora oggi non si sono chiarite le dinamiche dell’incidente, qualche perito torna ad asserire che non sia un missile, ma una bomba, a far precipitare il veicolo. Ovvia la conclusione che tale tesi farebbe ripiombare indietro di anni un’indagine già di per sé oscura. Quello che possiamo è stare vicini con l’animo e con il cuore alle persone scomparse e ai loro cari, che hanno bisogno di credere che un giorno la verità, una qualsiasi anche la più crudele, possa mettere fine a questo stato d’angoscia e di dubbio.

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