QUARANTA ANNI DI ATTESA
Era il 27 giugno 1980. Un aereo della linea “Itavia” stava
sorvolando il mare antistante la Sicilia. Era partito da Bologna ed era diretto
all’aeroporto di Palermo “Punta Raisi”. Quel veicolo cadde in mare e portò con
sé la vita di 115 persone, equipaggio compreso, e lasciò nel dolore i familiari.
Sono passati esattamente quattro decenni ed ancora oggi non si sa cosa sia
successo esattamente quel dì nei cieli italiani. Il pianto dei congiunti delle
vittime non ha spinto le istituzioni a rintracciare il bandolo della matassa.
Ad un primo acchito si pensò a un tragico guasto meccanico o ad un errore dei
piloti. Ma nulla degli esami dei tabulati radar del giorno, delle analisi dei
resti, faticosamente e costosamente recuperati in anni di ricerca sottomarina, avvalorava
tali ipotesi. Alcuni periti del processo che si aprì all’indomani della strage
scoprirono che la dinamica dell’incidente era compatibile ed avvalorava l’ipotesi
che un missile di natura militare, un ordigno che solitamente ha un Caccia in
dotazione all’aeronautica di difesa di un qualsiasi stato, possa aver colpito e
tragicamente abbattuto l’aereo di linea civile. Ma questa clamorosa rivelazione
non aiutò certo a chiarire la dinamica dei fatti che la sera di quell’inizio d’estate
degli anni ’80 erano successi. Le diatribe continuarono alacremente. Alcuni
spezzoni delle indagini portavano a collegare l’abbattimento dell’aereo civile
al quasi contemporaneo precipitare di un aereo militare libico, un MIG di
fabbricazione Russa (allora ancora Unione Sovietica), quell’aereo aveva solo il
pilota a bordo e ancora oggi non si sa perché si trovasse in spazi territoriali
italiani e, soprattutto, se il suo battimento fosse un’azione di difesa aerea
fatta presuntamente da aeromobili NATO in assetto di difesa, contro un’azione
considerata ostile. Si pensa addirittura che l’abbattimento del MIG libico
fosse stato voluto dal comando generale del Patto Atlantico nella convinzione
che a bordo vi fosse il leader e dittatore, Muammar Gheddafi, e in quella
operazione, per errore si sarebbe abbattuto anche l’aereo Itavia. Una cosa è
certa il capo di Tripoli su quel MIG non c’era, sarebbe morto decenni dopo
ucciso dai suoi stessi compatrioti nella guerra civile che ancor oggi infiamma
lo stato del Nord Africa. Allora che dire della strage di Ustica, l’isola sui
cui cieli è esploso per poi precipitare l’aereo con tanti civili a bordo? Solo
il dolore delle famiglie è rimasto e non riesce ad rimarginarsi. Quaranta anni
che attendono una risposta, che chiedono una spiegazione a quell’evento così
terribile. La portaerei americana Saratoga, ancorata in quei dì nel Golfo di
Napoli, sembra avesse i suoi radar spenti per manutenzione. Questo è almeno la
tesi ufficiale. Di conseguenza non avrebbe “visto” quello che succedeva nei
cieli. Appare difficile che possa avvenire che una nave USA scelga di chiudere “i
propri occhi” se situata in uno scenario delicato e importante, soprattutto ai
tempi della “Guerra Fredda”, come il Mediterraneo. Forse l’ammiraglio che la
guidava ha avuto ordine di tacere su fatti che magari non solo si sono visti su
quella nave, ma anche su avvenimenti in cui la portaerei avrebbe avuto un ruolo
di supporto logistico. Anche i radar italiani, situati a Roma e a Palermo, avrebbero
“non visto”, difficile credere a tale tesi, facile propendere a pensare a un
loro silenzio che è sinonimo di complicità Non è un caso che i giudici, in
particolare il magistrato Priore, abbiano aperto un’inchiesta parallela sul
silenzio degli operatori radar del Ministero della Difesa italiana, con
condanne anche significative a diversi anni. Insomma Ustica rimane un mistero.
Ancora oggi non si sono chiarite le dinamiche dell’incidente, qualche perito torna
ad asserire che non sia un missile, ma una bomba, a far precipitare il veicolo.
Ovvia la conclusione che tale tesi farebbe ripiombare indietro di anni un’indagine
già di per sé oscura. Quello che possiamo è stare vicini con l’animo e con il
cuore alle persone scomparse e ai loro cari, che hanno bisogno di credere che
un giorno la verità, una qualsiasi anche la più crudele, possa mettere fine a
questo stato d’angoscia e di dubbio.
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