martedì 2 giugno 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE


ARTICOLO 30 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“È dovere e diritto dei genitori mantenere e istruire i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i membri della famiglia legittima”

L’articolo 30 richiama alla responsabilità i genitori. È loro dovere istruire e mantenere la prole. Un principio fondamentale, un obbligo morale che ha il suo fondamento nella stessa natura umana che si fonda sull’ineluttabile istinto di accudire i piccoli per preservare la continuazione della specie. Ma l’aver cura dei bambini non è solo una legge naturale. È il fondamento della nostra civiltà. Non si può pensare a uno stato, a una comunità, a una società senza l’esistenza di strumenti per far crescere e formare i più piccoli. L’articolo 30 mette in luce che educare i bambini non è solo un dovere, ma anche un diritto dei genitori. L’amore, che un bimbo fa scaturire nel cuore di colui e di colei che gli danno la vita, rende inevitabile considerare il rapporto genitoriale un piacere infinito. La gioia che produce lo sguardo di un lattante, i suoi sorrisi enigmatici sono un bene prezioso che i parenti custodiscono nei loro ricordi per tutta la vita. Insomma il legame filiale è uno dei più forti sentimenti che il genere umano vive. L’articolo 30 però è chiaro. Il suo intento non è quello di riconoscere i privilegi genitoriali. Il suo obbiettivo è quello di tutelare i diritti dei figli. Il diritto prima di tutto alla vita deve essere difeso. Un bambino ha diritto a nascere. Non deve essere abbandonato a se stesso, come purtroppo la cronaca ci racconta, un lattante non deve essere abbandonato in mezzo alla strada, in un cassonetto, rischiando e trovando la morte ancor prima di aver vissuto la vita. È giusto che non solo lo stato, ma l’intera comunità si sforzi per trovare gli strumenti adatti a prendersi cura di una donna incinta che vive in maniera angosciosa l’idea di diventare mamma. Bisogna che le donne in gravidanza che si trovano in contesti sociali di degrado siano accudite al fine di evitare che decidano di partorire clandestinamente, con gravissimo rischio per la vita propria e del nascituro, e poi abbandonino il lattante. È comprensibile che una donna, in estrema ambasce, possa decidere di non riconoscere il proprio figlio, ma questa deve affidarlo alle istituzioni non deve lasciarlo sul ciglio di una strada. L’abbandono del nascituro è una scelta tragica, dolorosa, estrema che merita la comprensione e il supporto morale del personale medico e paramedico che si occupano del parto.  La nascita deve comunque avvenire all’interno di un ospedale, ove il parto avvenga con tutti gli strumenti medico chirurgici necessari.  È giusto che vi sia personale qualificato pronto a supportare la puerpera in un momento drammatico della sua vita, magari una persona sensibile può determinare in maniera positiva la scelta della mamma, che comunque segnerà per sempre la sua vita e quella del suo bambino. Nel caso in cui la genitrice decida comunque di non prendersi cura dell’infante è lo stato, in base alla legge, a doversi far carico della vita nascente, a farla crescere e a garantirli istruzione ed educazione, su questo l’articolo 30 comma due è chiarissimo. Nei casi in cui la famiglia non può, per le più svariate ragioni, avere cura dei più piccoli lo stato deve porre in atto strumenti di difesa sociale volti all’inserimento in altre famiglie dei bambini abbandonati o il loro collocamento in strutture d’accoglienza dell’infanzia. Nessun bambino deve essere lasciato solo. La Repubblica deve prima di tutto pensare all’affidamento. La legge sull’adozione dei bambini dà strumenti per poter affidare a famiglie generose ed accoglienti il bimbo abbandonato. La legge sull’adozione è uno strumento di grande solidarietà umana che deve essere migliorato e modificato ancora al fine di garantire la felicita dell’adottato e il superamento degli ostacoli burocratici che l’adottante o gli adottanti devono affrontare. Il terzo comma dell’articolo costituzionale, che stiamo commentando, è importantissimo. Compie un atto di giustizia. Equipara i figli nati fuori dal matrimonio agli altri, la potestà genitoriale, il dovere di prendersi cura della prole, deve essere esercitato dal genitore anche nei riguardi di un bimbo non nato nell’ambito matrimoniale. I figli di nessuno, come venivano definiti in passato i figli nati da una coppia non coniugata, non hanno diritti inferiori rispetto ai legittimi. Questo deve essere chiaro. La legge del 10 dicembre 2012, numero 219, ha definitivamente equiparato lo status dei figli nati nel matrimonio a quelli naturali. Questi ultimi sono considerati facenti parte integrante dalla famiglia del genitore, mentre prima di questa legge il legame parentale non si estendeva ai parenti del generante. Insomma la norma in questione è un superamento definitivo della distinzione fra figlio legittimo e figlio naturale, oggi possiamo dire che questa dicotomia è superata nei fatti dalla una cultura sociale e giuridica matura e sensibile alle esigenze del minore e in generale a quelle dei figli. Insomma il figlio naturale potrà riconoscersi pienamente parente del fratello della madre e del padre,sarà pienamente inserito nel contesto familiare, anche dal punto di vista dell’asse ereditario. Insomma la legge 219 finalmente porta a compimento il dettame costituzionale che impone allo stato di rendere i figli eguali. L’ultimo comma dell’articolo 30 della costituzione può apparire in contrasto con i precedenti. Mentre i lemmi precedenti erano improntati al riconoscimento giuridico del rapporto parentale e filiale, quest’ultimo, sorprendentemente, mette in conto la possibilità che la legge possa vietare il riconoscimento di un figlio. Perché? La risposta è nel dolore, nella sofferenza, che potrebbe causare il riconoscimento di un rapporto genitoriale, soprattutto e principalmente per i figli. Sono i casi dolorosi di incesto, di violenza sessuale, insomma di gravidanze causate da un perverso rapporto fra coloro che hanno procreato. E’ bene che l’anagrafe e la legge celi questi rapporti. Non deve essere noto che un padre abbia fatto violenza sulla figlia generando vita. Questo ovviamente non per tutelare il violentatore, che deve essere punito dalla legge, ma per tutelare la vittima e il frutto dell’atto scellerato che comunque ha diritto a una vita degna e  serena come qualsiasi altro essere umano. A dimostrazione di come la Repubblica abbia a riguardo l’esclusiva tutela dell’innocente ci sono le norme del diritto civile e penale che derogano all’irriconoscibilità del bimbo nei casi in cui l’incesto è frutto di un errore dovuto alla mancanza di conoscenza. Si fa il caso di due fratelli, che hanno procreato senza Sapere del loro rapporto parentale, in questo caso la legge deroga al principio di irriconoscibilità. Si fa il caso in cui la donna sia stata oggetto di violenza sessuale, la mamma in questo caso può riconoscere il proprio bambino. Insomma la legge, supportata dall’alto dettato costituzionale, regolamenta i casi in cui il nascituro non può essere riconosciuto dal genitore naturale, ma questi casi sono pochissimi e sono l’esplicitazione di gravissimi motivi morali etici e giuridici. Lo spirito dell’articolo 30 è quello, è bene ricordarlo, di tutelare la vita, la salute psicofisica e l’integrità nella crescita dei bambini, futura classe dirigente della nostra nazione.
Testo di Giovanni Falagario

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