lunedì 29 giugno 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 37 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavori, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”

La Costituzione intende garantire l’uguaglianza sostanziale delle persone. Le donne hanno gli stessi diritti dei colleghi maschi in ambito lavorativo. È un principio non scontato. Ancor oggi le donne, al pari dei disabili, e dei meno fortunati vivono nei fatti uno stato di subalternità verso gli altri colleghi, maschi. Se lo stato di frustrazione lavorativa dei soggetti meno fortunati appare scontata. Chi è disabile è inevitabilmente destinato all’emarginazione, come dicono le statistiche. La crisi economica ha principalmente colpito quelle che con ipocrita ironia si chiamano “categorie protette”, soprattutto al sud. Appare una follia che le donne, più scolarizzate, più preparate e con maggiori titoli rispetto ai colleghi maschi siano emarginate. L’evoluzione educativa di questi decenni di repubblica ha portato ad avere un maggior numero di laureate rispetto ai laureati. Perché allora la donna, pur preparata, ha un ruolo subalterno rispetto al maschio? La risposta può essere: lentamente la donna sta cambiando ruolo. Ci sono sempre più donne manager, le aziende cominciano ad avere nei loro vertici e nei loro consigli di amministrazioni rappresentati del genere femminile che svolgono ruoli apicali. Le istituzioni pubbliche hanno nel loro organico, anche ai massimi vertici dirigenziali, donne. Ci sono magistrati donne, ci sono medici del gentil sesso, ci sono signore ministri.  Questo è un dato obbiettivo. Ma rimane costatabile che la percentuale di donne nei ruoli chiave è minore rispetto a quella maschile. Fenomeno ancor più grave è il fatto che a pari mansione lavorativa la donna riceve una paga inferiore rispetto all’uomo. Questo dato statistico contrasta evidentemente con i principi esposti nell’articolo 37 della Costituzione. Questi sancisce che la donna deve avere la stessa retribuzione del collega uomo a parità di mansione. Perché ciò non avviene? Perché l’uguaglianza economica è ancora lontana da pervenire? La risposta è nella molteplicità e nell’ambiguità della vita economica. In ambito lavorativo diviene oggettivamente difficile portare quei valori di eguaglianza, di solidarietà sociale e di collaborazione che sono il cardine della Costituzione. I rapporti di forza, anche i rapporti di genere, divengono gli elementi predominanti a discapito di un comportamento etico coerente. Ma allora la costituzione è solo una manciata di parole inutili? Allora i valori costituzionali di eguaglianza e solidarietà sono pie illusioni? No! E’ compito di noi cittadini, della politica, far camminare sulle nostre gambe quei valori solidali. Cambiare si deve e si può! Spetta alle donne farsi protagoniste del cambiamento. Sono loro che devono chiedere a gran voce parità ed uguaglianza. Lo devono fare per se stesse e per tutti i soggetti sociali svantaggiati. Una società migliore è possibile grazie all’impegno femminile che battendosi per i propri diritti può costruire una società migliore. Mi ricordo le mie amiche di scuola, vere guerriere della giustizia, che mi difendevano, disabile, dalle angherie dei maschi. Mi difendevano contrapponendo alla violenza verbale, e alcune volte fisica, i valori di solidarietà e comunanza, i valori etici che sono racchiusi nel cuore femminile e sbocciano dando grazia. L’emancipazione femminile è lo strumento per l’emancipazione dell’intero genere umano. Solo la donna può incarnare quei valori solidali che sono il fondamento del principio di eguaglianza. La lotta della donna coincide con la crescita della società umana. Proprio perché la donna è un essere straordinario lo stato deve garantire che la sua persona si compia nella sua totalità. Un aspetto importantissimo della vita di una donna è la maternità. Sia chiaro nessuna donna può essere costretta ad essere madre. Fare figli è una scelta personale, legata anche alle diverse vicende della vita, la maternità è una scelta libera. Ciò deve essere ritenuto scontato, un dato acquisito. Ma se la donna decide di essere madre, lo stato deve garantirgli tutti gli strumenti per svolgere il duplice ruolo di genitore e di lavoratore. Deve garantirgli che l’accudire dei bimbi non gli pregiudichi la sua giusta aspirazione di realizzarsi nell’ambito lavorativo. La repubblica deve garantire la presenza di strutture di supporto all’infanzia. Ci devono essere asili, scuole e centri formativi, che possano accogliere i piccoli mentre la donna è impegnata nel suo lavoro. Ci devono essere compensazioni economiche quando la donna sceglie di limitare il tempo dedicato al lavoro per curare i piccoli, con evidenti ripercussioni per il proprio reddito. Se una donna lavora part time, con la conseguente riduzione dello stipendio, per pensare alla famiglia ci devono essere strumenti compensativi. La Repubblica li prevede, ma non sono sufficienti, devono essere potenziati e aumentati per adempiere il dettame costituzionale.
Per quanto riguarda il lavoro minorile,  tutelato grazie alle splendide parole del secondo e terzo comma dell’articolo 37, è bene dire che in Italia dovrebbe sparire. L’età della fanciullezza coincide con quella della formazione culturale. La riforma della scuola impone che fino a diciotto anni una persona non debba lavorare, ma formarsi culturalmente. In passato non era così. Nei campi, nelle fabbriche, nei cantieri edilizi era facilissimo trovare giovanissimi al lavoro. Anche oggi il fenomeno esiste, ma prima era tollerato dalla legge, oggi chi sfrutta un minore anche over quattordicenne commette un reato penale. In passato la soglia minima per il lavoro era quattordici anni. Il lavoro minorile, il lavoro dei bambini è una piaga tremenda. Tante giovani vite sono andate perdute, tanti ragazzini sono morti nei luoghi di lavoro, mentre il loro ruolo doveva essere quello di studente. La Costituzione è stata scritta in anni terribili. Era un’epoca dove i diritti dell’infanzia venivano calpestati. Vittorio De Sica, grande regista, in quel periodo gira “Sciuscià” un film che denuncia la vita grama del mondo dell’infanzia. Ma non c’è bisogno di scomodare il cinema, chi ha una certa età, come me, può facilmente ricordare il lavoro nei campi dei bimbi e delle bimbe che avveniva solo qualche decennio fa. Insomma lo sfruttamento minorile è una piaga tremenda. Una piaga ancora insanata. Ancor oggi si vede al lavoro piccoli e piccole. Sono figli e figlie di immigrati che vengono sfruttati. Un fenomeno tremendo che risucchia questi pargoli anche nell’oscuro mondo della criminalità. Sono tremende le notizie di sfruttamento anche sessuale di questi minori. Allora appare chiaro che l’articolo 37 deve essere ancora applicato nella sua interezza. Ci si deve impegnare per dare parità alle donne. In questa materia diverse norme sulla parità di genere, cioè volte a garantire che ci sia una sostanziale parità in ambito lavorativo fra uomo e donna, sono state fatte, ma non bastano. Ci sono più donne negli uffici pubblici, più donne negli organi di polizia e dell’esercito, più donne in magistratura e in politica. Bisogna fare di più. Bisogna non solo arrivare alla parità, ma abbattere quelle barriere di violenza di prevaricazione maschile. La donna non deve essere molestata, la donna non deve essere sfruttata. Questi sono obbiettivi fondamentali da raggiungere. Bisogna costruire una società che abbatta le barriere, che vinca le ingiustizie. Lo ribadisco la battaglia delle donne è il motore per vincere tutte le altre battaglie sull’uguaglianza. I diritti delle dono sono il volano per difendere tutti gli altri soggetti. La donna è forte, riuscirà a vincere la sua battaglia di uguaglianza rivendicando anche i diritti dei disabili dei più deboli dei bambini anch’essi calpestati.
Scritto da Pellecchia Gianfranco

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