ARTICOLO 37 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“La donna lavoratrice
ha gli stessi diritti e, a parità di lavori, le stesse retribuzioni che
spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento
della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino
una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce
il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela
il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di
lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”
La Costituzione intende garantire l’uguaglianza sostanziale
delle persone. Le donne hanno gli stessi diritti dei colleghi maschi in ambito
lavorativo. È un principio non scontato. Ancor oggi le donne, al pari dei
disabili, e dei meno fortunati vivono nei fatti uno stato di subalternità verso
gli altri colleghi, maschi. Se lo stato di frustrazione lavorativa dei soggetti
meno fortunati appare scontata. Chi è disabile è inevitabilmente destinato
all’emarginazione, come dicono le statistiche. La crisi economica ha
principalmente colpito quelle che con ipocrita ironia si chiamano “categorie
protette”, soprattutto al sud. Appare una follia che le donne, più
scolarizzate, più preparate e con maggiori titoli rispetto ai colleghi maschi
siano emarginate. L’evoluzione educativa di questi decenni di repubblica ha
portato ad avere un maggior numero di laureate rispetto ai laureati. Perché
allora la donna, pur preparata, ha un ruolo subalterno rispetto al maschio? La
risposta può essere: lentamente la donna sta cambiando ruolo. Ci sono sempre
più donne manager, le aziende cominciano ad avere nei loro vertici e nei loro
consigli di amministrazioni rappresentati del genere femminile che svolgono
ruoli apicali. Le istituzioni pubbliche hanno nel loro organico, anche ai
massimi vertici dirigenziali, donne. Ci sono magistrati donne, ci sono medici
del gentil sesso, ci sono signore ministri.
Questo è un dato obbiettivo. Ma rimane costatabile che la percentuale di
donne nei ruoli chiave è minore rispetto a quella maschile. Fenomeno ancor più
grave è il fatto che a pari mansione lavorativa la donna riceve una paga
inferiore rispetto all’uomo. Questo dato statistico contrasta evidentemente con
i principi esposti nell’articolo 37 della Costituzione. Questi sancisce che la
donna deve avere la stessa retribuzione del collega uomo a parità di mansione.
Perché ciò non avviene? Perché l’uguaglianza economica è ancora lontana da
pervenire? La risposta è nella molteplicità e nell’ambiguità della vita
economica. In ambito lavorativo diviene oggettivamente difficile portare quei
valori di eguaglianza, di solidarietà sociale e di collaborazione che sono il
cardine della Costituzione. I rapporti di forza, anche i rapporti di genere,
divengono gli elementi predominanti a discapito di un comportamento etico
coerente. Ma allora la costituzione è solo una manciata di parole inutili?
Allora i valori costituzionali di eguaglianza e solidarietà sono pie illusioni?
No! E’ compito di noi cittadini, della politica, far camminare sulle nostre
gambe quei valori solidali. Cambiare si deve e si può! Spetta alle donne farsi
protagoniste del cambiamento. Sono loro che devono chiedere a gran voce parità
ed uguaglianza. Lo devono fare per se stesse e per tutti i soggetti sociali
svantaggiati. Una società migliore è possibile grazie all’impegno femminile che
battendosi per i propri diritti può costruire una società migliore. Mi ricordo
le mie amiche di scuola, vere guerriere della giustizia, che mi difendevano,
disabile, dalle angherie dei maschi. Mi difendevano contrapponendo alla
violenza verbale, e alcune volte fisica, i valori di solidarietà e comunanza, i
valori etici che sono racchiusi nel cuore femminile e sbocciano dando grazia.
L’emancipazione femminile è lo strumento per l’emancipazione dell’intero genere
umano. Solo la donna può incarnare quei valori solidali che sono il fondamento
del principio di eguaglianza. La lotta della donna coincide con la crescita
della società umana. Proprio perché la donna è un essere straordinario lo stato
deve garantire che la sua persona si compia nella sua totalità. Un aspetto
importantissimo della vita di una donna è la maternità. Sia chiaro nessuna
donna può essere costretta ad essere madre. Fare figli è una scelta personale,
legata anche alle diverse vicende della vita, la maternità è una scelta libera.
Ciò deve essere ritenuto scontato, un dato acquisito. Ma se la donna decide di
essere madre, lo stato deve garantirgli tutti gli strumenti per svolgere il
duplice ruolo di genitore e di lavoratore. Deve garantirgli che l’accudire dei
bimbi non gli pregiudichi la sua giusta aspirazione di realizzarsi nell’ambito
lavorativo. La repubblica deve garantire la presenza di strutture di supporto
all’infanzia. Ci devono essere asili, scuole e centri formativi, che possano
accogliere i piccoli mentre la donna è impegnata nel suo lavoro. Ci devono
essere compensazioni economiche quando la donna sceglie di limitare il tempo
dedicato al lavoro per curare i piccoli, con evidenti ripercussioni per il
proprio reddito. Se una donna lavora part time, con la conseguente riduzione
dello stipendio, per pensare alla famiglia ci devono essere strumenti
compensativi. La Repubblica li prevede, ma non sono sufficienti, devono essere
potenziati e aumentati per adempiere il dettame costituzionale.
Per quanto riguarda il lavoro minorile, tutelato grazie alle splendide parole del
secondo e terzo comma dell’articolo 37, è bene dire che in Italia dovrebbe
sparire. L’età della fanciullezza coincide con quella della formazione
culturale. La riforma della scuola impone che fino a diciotto anni una persona
non debba lavorare, ma formarsi culturalmente. In passato non era così. Nei
campi, nelle fabbriche, nei cantieri edilizi era facilissimo trovare
giovanissimi al lavoro. Anche oggi il fenomeno esiste, ma prima era tollerato
dalla legge, oggi chi sfrutta un minore anche over quattordicenne commette un
reato penale. In passato la soglia minima per il lavoro era quattordici anni.
Il lavoro minorile, il lavoro dei bambini è una piaga tremenda. Tante giovani
vite sono andate perdute, tanti ragazzini sono morti nei luoghi di lavoro,
mentre il loro ruolo doveva essere quello di studente. La Costituzione è stata
scritta in anni terribili. Era un’epoca dove i diritti dell’infanzia venivano
calpestati. Vittorio De Sica, grande regista, in quel periodo gira “Sciuscià”
un film che denuncia la vita grama del mondo dell’infanzia. Ma non c’è bisogno
di scomodare il cinema, chi ha una certa età, come me, può facilmente ricordare
il lavoro nei campi dei bimbi e delle bimbe che avveniva solo qualche decennio
fa. Insomma lo sfruttamento minorile è una piaga tremenda. Una piaga ancora
insanata. Ancor oggi si vede al lavoro piccoli e piccole. Sono figli e figlie
di immigrati che vengono sfruttati. Un fenomeno tremendo che risucchia questi pargoli
anche nell’oscuro mondo della criminalità. Sono tremende le notizie di
sfruttamento anche sessuale di questi minori. Allora appare chiaro che
l’articolo 37 deve essere ancora applicato nella sua interezza. Ci si deve
impegnare per dare parità alle donne. In questa materia diverse norme sulla
parità di genere, cioè volte a garantire che ci sia una sostanziale parità in
ambito lavorativo fra uomo e donna, sono state fatte, ma non bastano. Ci sono
più donne negli uffici pubblici, più donne negli organi di polizia e
dell’esercito, più donne in magistratura e in politica. Bisogna fare di più.
Bisogna non solo arrivare alla parità, ma abbattere quelle barriere di violenza
di prevaricazione maschile. La donna non deve essere molestata, la donna non
deve essere sfruttata. Questi sono obbiettivi fondamentali da raggiungere.
Bisogna costruire una società che abbatta le barriere, che vinca le
ingiustizie. Lo ribadisco la battaglia delle donne è il motore per vincere
tutte le altre battaglie sull’uguaglianza. I diritti delle dono sono il volano
per difendere tutti gli altri soggetti. La donna è forte, riuscirà a vincere la
sua battaglia di uguaglianza rivendicando anche i diritti dei disabili dei più
deboli dei bambini anch’essi calpestati.
Scritto da Pellecchia Gianfranco
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