sabato 27 giugno 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE




ARTICOLO 35 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.

Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, dice l’articolo 1 della Costituzione. La Repubblica tutela i lavorati, afferma l’articolo 35, a corollario del primo. L’articolo Trentacinque è il primo del Titolo IIII, il capitolo della costituzione in cui si enunciano i diritti dell’uomo all’interno dei rapporti economici. Si parte dal lavoro, si parte dal principio che bisogna tutelarlo in tutte le sue forme. Questo è un principio di sana economia. Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere, dice un detto popolare. Tutte le forme di lavoro hanno pari dignità. Tutti i lavoratori hanno diritto a una vita dignitosa. In realtà ancor oggi non è così. A settant’anni dalla costituzione il lavoro non è tutelato. Ai disabili è negato. Ai meno fortunati è destinato un lavoro gramo e meno tutelato. Ancor oggi, cosa che dovrebbe essere motivo di scandalo come dice papa Francesco, il lavoro è strumento di esclusione non di inclusione. Spesso è sottopagato, il lavoro è sfruttamento nei campi, nelle fabbriche e nei lavori impiegatizi. Si è sfruttati e buttati via senza una motivo. Le persone diversamente abili sono semplicemente escluse, anche in barba a tutti i valori che dovrebbero essere patrimonio comune della nostra comunità nazionale, che dovrebbe essere fondata su principi cristiani. A questo proposito è nota la polemica fra Comunità Europea e chiesa sulla questione di fondamenti cristiani dell’Europa. Secondo chi scrive il dovere di inclusione sociale, di rispetto e di dignità per i disabili e per i meno fortunati, non è solo dovere del cattolico. Non basta dirsi ateo per giustificare la volontà di espellere dal mondo del lavoro i meno fortunati. La politica di inclusione sociale travalica lo spirito religioso, è il moto di ispirazione collettiva. Si possono anche rifiutare i valori costituzionali. A me è capitato di discutere sul tema dell’inclusione, il mio interlocutore ha detto “sono valori tuoi” i valori di solidarietà. È giusto che sia così. È giusto che i cittadini consapevolmente rifiutino i valori di solidarietà. è giusto che lo si faccia apertamente. Fino ad oggi l’emarginazione, l’esclusione era sottobanco. Oggi orgogliosamente la si rivendica. Far emergere la realtà sociale di emarginazione anche nel dibattito pubblico fa bene. L’Italia non è la Penisola solidale che vorrebbe essere, ma è un luogo di emarginazione e di esclusione, è un luogo di lavoro nero e di sfruttamento. Davanti alle crisi economiche si sceglie di mettere all’angolo i più deboli. Nei momenti di ripresa si esclude il meno fortunato. Sono gesti comuni che contrastano con i valori etici del Cristianesimo e della Costituzione. Le persone devono prendere atto di questo. Devono scegliere o la costituzione e la solidarietà cristiana o la vita come è oggi. Le ipocrisie non sono più possibili. Insomma non si può più avere un atteggiamento ipocrita. Un atteggiamento di falsa solidarietà, che poi si smaschera davanti allo stato di abbandono sociale in cui versano le fasce della società più deboli. Noi che scriviamo crediamo in Dio e nella Costituzione. Crediamo che sia giusto che tutti abbiano dignità, anche i più deboli e gli emarginati. Combattiamo  idealmente contro questa cultura economica che umilia ed esclude. Il lavoro è un bene prezioso. È l’esplicitazione di le facoltà umane che trovano il loro compimento nello sforzo ad operare. Il lavoro è costruire un manufatto. Il lavoro è saper scrivere una pratica d’ufficio. Il lavoro è saper faticare con spirito di volontà e sacrificio. Bisogna cogliere la dignità dei gesti che si compiono durante la giornata lavorativa. Bisogna avere comprensione e spirito di solidarietà verso coloro che non possono svolgere mansioni utili alla società, perché esclusi e disoccupati. Il compito della repubblica è dargli una possibilità, offrirgli una speranza di riscatto. Come fare? Attraverso la formazione e la specializzazione professionale, che dovrebbe essere un impegno collettivo. Lo afferma chiaramente il comma due dell’articolo trentacinque.  Se i disabili, se gli emarginati, se i migranti sono impossibilitati ad inserirsi nel mondo del lavoro non devono essere espulsi, ma formati. Questo ovviamente vale anche per tutti i singoli cittadini e cittadine che hanno diritto a un percorso di formazione professionale. L’economia cresce e la società migliora se i lavoratori vengono messi nelle condizioni di affrontare le innovazioni. Bisogna che ci si aggiorni davanti al progresso della tecnologia e dell’industria. Lo stato deve formare le menti in modo da diventare idonee a cogliere le nuove sfide. Questa è un’intuizione avuta settanta anni fa dai nostri padri costituenti. Il luddismo, il movimento ottocentesco inglese che voleva distruggere le macchine per garantire il lavoro all’uomo, non è una soluzione. Per affrontare il moderno bisogna mettersi al passo con la scienza, non fare un vano tentativo di distruggerla. L’innovazione vuol dire ricerca. La ricerca vuol dire studio. Quello che manca è una reale volontà di investimento in questi settori. Ancor oggi lo stato e il settore privato latitano nell’ambito della formazione professionale, questo è un limite gravissimo per le ambizioni di crescita dell’Italia. Bisogna che le forze politiche, le istituzioni nazionali e locali si impegnino a istituire scuole di alta preparazione professionale, adempiendo così il dettato costituzionale. Il terzo comma dell’articolo 35 ricorda che il mondo è una rete interconnessa, mi si consenta un concetto che sembrerebbe più di oggi che della metà del secolo XX. Eppure i padri costituenti hanno pensato al lavoro come un’esperienza che coinvolge miliardi di persone e travalica i confini delle nazioni anche se scrivevano in un tempo ormai lontano. I diritti del lavoro e dei lavoratori devono valere in ogni angolo del mondo. Per questo la costituzione invita la Repubblica nascente a stringere accordi internazionali volti a tutelare il lavoro. Invita alla nascita di organizzazioni extranazionali che tutelino i lavoratori. Invita alla solidarietà che travalica i confini. Solidarietà che deve valere anche per i migranti. Chi emigra e chi immigra dal e nel nostro paese deve essere tutelato. Il lavoro all’estero degli italiani deve essere difeso. Noi aggiungiamo, come necessario corollario, che il lavoro degli immigrati in Italia deve essere tutelato. I costituenti non l’hanno scritto, ma ci pare un principio di umanità che si fonda anche sui principi espressi dalla carta dei diritti dell’ONU. Insomma chi va all’estero per cercar fortuna ha diritto alla solidarietà e al supporto morale e materiale. Il pensiero va ai tanti giovani laureati italiani che oggi vanno in paesi stranieri a cercar fortuna. La nostra costituzione li vorrebbe tutelati. Vorrebbe, osiamo dire, che tornassero, vorrebbe che il loro prezioso bagaglio culturale fosse appannaggio dell’Italia. Questo afflato si scontra con un paese escludente, un paese che non solo chiude le porte ai disabili, ai meno fortunati, ma li chiude, paradossalmente, anche ai più preparati ai più dotati dal punto di vista culturale e professionale. È un paradosso con cui bisogna fare i conti. Una situazione scioccante in cui chi avrebbe il diritto di essere inserito nella realtà lavorativa, viene escluso. Un processo che sta producendo un depauperamento culturale e tecnologico dell’Italia. Ma non solo anche un impoverimento morale. Chi ha diritto a essere inserito nel mondo del lavoro, per capacità e competenze, viene escluso. È un vero scandalo. Chi scrive non può che continuare a denunciare. Non può che gridare, facendo perdere la sua voce nel vento, dei disabili che vengono emarginati, dei lavoratori sfruttati, delle persone che sono disoccupate degli studenti e dei lavoratori migliori che vanno all’estero. È tempo di cambiare. È tempo di applicare la costituzione e di dare dignità al lavoro e ai lavoratori. Solo così si può pensare a migliorare un paese degradato come l’Italia, in cui il disabile, il povero, l’intelligente (non abbastanza furbo) vengono derisi.  I valori di solidarietà sono “valori miei”, non li voglio imporre agli altri, ma per me rimangono il solo strumento per costruire un paese migliore. Insomma sono contro l’esclusione imposta dal senso comune, e per l’inclusione voluta dal cattolicesimo e dalla Costituzione.
Testo di Giovanni Falagario

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