ARTICOLO 35 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“La Repubblica tutele
il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e
l’elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce
gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i
diritti del lavoro.
Riconosce la libertà
di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse
generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, dice
l’articolo 1 della Costituzione. La Repubblica tutela i lavorati, afferma
l’articolo 35, a corollario del primo. L’articolo Trentacinque è il primo del
Titolo IIII, il capitolo della costituzione in cui si enunciano i diritti
dell’uomo all’interno dei rapporti economici. Si parte dal lavoro, si parte dal
principio che bisogna tutelarlo in tutte le sue forme. Questo è un principio di
sana economia. Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere, dice un detto
popolare. Tutte le forme di lavoro hanno pari dignità. Tutti i lavoratori hanno
diritto a una vita dignitosa. In realtà ancor oggi non è così. A settant’anni
dalla costituzione il lavoro non è tutelato. Ai disabili è negato. Ai meno
fortunati è destinato un lavoro gramo e meno tutelato. Ancor oggi, cosa che
dovrebbe essere motivo di scandalo come dice papa Francesco, il lavoro è
strumento di esclusione non di inclusione. Spesso è sottopagato, il lavoro è
sfruttamento nei campi, nelle fabbriche e nei lavori impiegatizi. Si è
sfruttati e buttati via senza una motivo. Le persone diversamente abili sono semplicemente
escluse, anche in barba a tutti i valori che dovrebbero essere patrimonio
comune della nostra comunità nazionale, che dovrebbe essere fondata su principi
cristiani. A questo proposito è nota la polemica fra Comunità Europea e chiesa
sulla questione di fondamenti cristiani dell’Europa. Secondo chi scrive il
dovere di inclusione sociale, di rispetto e di dignità per i disabili e per i
meno fortunati, non è solo dovere del cattolico. Non basta dirsi ateo per
giustificare la volontà di espellere dal mondo del lavoro i meno fortunati. La
politica di inclusione sociale travalica lo spirito religioso, è il moto di
ispirazione collettiva. Si possono anche rifiutare i valori costituzionali. A
me è capitato di discutere sul tema dell’inclusione, il mio interlocutore ha
detto “sono valori tuoi” i valori di solidarietà. È giusto che sia così. È
giusto che i cittadini consapevolmente rifiutino i valori di solidarietà. è
giusto che lo si faccia apertamente. Fino ad oggi l’emarginazione, l’esclusione
era sottobanco. Oggi orgogliosamente la si rivendica. Far emergere la realtà
sociale di emarginazione anche nel dibattito pubblico fa bene. L’Italia non è
la Penisola solidale che vorrebbe essere, ma è un luogo di emarginazione e di
esclusione, è un luogo di lavoro nero e di sfruttamento. Davanti alle crisi
economiche si sceglie di mettere all’angolo i più deboli. Nei momenti di
ripresa si esclude il meno fortunato. Sono gesti comuni che contrastano con i
valori etici del Cristianesimo e della Costituzione. Le persone devono prendere
atto di questo. Devono scegliere o la costituzione e la solidarietà cristiana o
la vita come è oggi. Le ipocrisie non sono più possibili. Insomma non si può
più avere un atteggiamento ipocrita. Un atteggiamento di falsa solidarietà, che
poi si smaschera davanti allo stato di abbandono sociale in cui versano le
fasce della società più deboli. Noi che scriviamo crediamo in Dio e nella
Costituzione. Crediamo che sia giusto che tutti abbiano dignità, anche i più
deboli e gli emarginati. Combattiamo
idealmente contro questa cultura economica che umilia ed esclude. Il
lavoro è un bene prezioso. È l’esplicitazione di le facoltà umane che trovano
il loro compimento nello sforzo ad operare. Il lavoro è costruire un manufatto.
Il lavoro è saper scrivere una pratica d’ufficio. Il lavoro è saper faticare
con spirito di volontà e sacrificio. Bisogna cogliere la dignità dei gesti che
si compiono durante la giornata lavorativa. Bisogna avere comprensione e
spirito di solidarietà verso coloro che non possono svolgere mansioni utili
alla società, perché esclusi e disoccupati. Il compito della repubblica è
dargli una possibilità, offrirgli una speranza di riscatto. Come fare?
Attraverso la formazione e la specializzazione professionale, che dovrebbe
essere un impegno collettivo. Lo afferma chiaramente il comma due dell’articolo
trentacinque. Se i disabili, se gli
emarginati, se i migranti sono impossibilitati ad inserirsi nel mondo del
lavoro non devono essere espulsi, ma formati. Questo ovviamente vale anche per
tutti i singoli cittadini e cittadine che hanno diritto a un percorso di
formazione professionale. L’economia cresce e la società migliora se i
lavoratori vengono messi nelle condizioni di affrontare le innovazioni. Bisogna
che ci si aggiorni davanti al progresso della tecnologia e dell’industria. Lo
stato deve formare le menti in modo da diventare idonee a cogliere le nuove
sfide. Questa è un’intuizione avuta settanta anni fa dai nostri padri
costituenti. Il luddismo, il movimento ottocentesco inglese che voleva
distruggere le macchine per garantire il lavoro all’uomo, non è una soluzione. Per
affrontare il moderno bisogna mettersi al passo con la scienza, non fare un
vano tentativo di distruggerla. L’innovazione vuol dire ricerca. La ricerca
vuol dire studio. Quello che manca è una reale volontà di investimento in
questi settori. Ancor oggi lo stato e il settore privato latitano nell’ambito
della formazione professionale, questo è un limite gravissimo per le ambizioni
di crescita dell’Italia. Bisogna che le forze politiche, le istituzioni
nazionali e locali si impegnino a istituire scuole di alta preparazione
professionale, adempiendo così il dettato costituzionale. Il terzo comma
dell’articolo 35 ricorda che il mondo è una rete interconnessa, mi si consenta
un concetto che sembrerebbe più di oggi che della metà del secolo XX. Eppure i
padri costituenti hanno pensato al lavoro come un’esperienza che coinvolge
miliardi di persone e travalica i confini delle nazioni anche se scrivevano in
un tempo ormai lontano. I diritti del lavoro e dei lavoratori devono valere in
ogni angolo del mondo. Per questo la costituzione invita la Repubblica nascente
a stringere accordi internazionali volti a tutelare il lavoro. Invita alla
nascita di organizzazioni extranazionali che tutelino i lavoratori. Invita alla
solidarietà che travalica i confini. Solidarietà che deve valere anche per i
migranti. Chi emigra e chi immigra dal e nel nostro paese deve essere tutelato.
Il lavoro all’estero degli italiani deve essere difeso. Noi aggiungiamo, come
necessario corollario, che il lavoro degli immigrati in Italia deve essere
tutelato. I costituenti non l’hanno scritto, ma ci pare un principio di umanità
che si fonda anche sui principi espressi dalla carta dei diritti dell’ONU. Insomma
chi va all’estero per cercar fortuna ha diritto alla solidarietà e al supporto
morale e materiale. Il pensiero va ai tanti giovani laureati italiani che oggi
vanno in paesi stranieri a cercar fortuna. La nostra costituzione li vorrebbe
tutelati. Vorrebbe, osiamo dire, che tornassero, vorrebbe che il loro prezioso
bagaglio culturale fosse appannaggio dell’Italia. Questo afflato si scontra con
un paese escludente, un paese che non solo chiude le porte ai disabili, ai meno
fortunati, ma li chiude, paradossalmente, anche ai più preparati ai più dotati
dal punto di vista culturale e professionale. È un paradosso con cui bisogna
fare i conti. Una situazione scioccante in cui chi avrebbe il diritto di essere
inserito nella realtà lavorativa, viene escluso. Un processo che sta producendo
un depauperamento culturale e tecnologico dell’Italia. Ma non solo anche un
impoverimento morale. Chi ha diritto a essere inserito nel mondo del lavoro,
per capacità e competenze, viene escluso. È un vero scandalo. Chi scrive non può
che continuare a denunciare. Non può che gridare, facendo perdere la sua voce
nel vento, dei disabili che vengono emarginati, dei lavoratori sfruttati, delle
persone che sono disoccupate degli studenti e dei lavoratori migliori che vanno
all’estero. È tempo di cambiare. È tempo di applicare la costituzione e di dare
dignità al lavoro e ai lavoratori. Solo così si può pensare a migliorare un
paese degradato come l’Italia, in cui il disabile, il povero, l’intelligente
(non abbastanza furbo) vengono derisi. I
valori di solidarietà sono “valori miei”, non li voglio imporre agli altri, ma
per me rimangono il solo strumento per costruire un paese migliore. Insomma
sono contro l’esclusione imposta dal senso comune, e per l’inclusione voluta
dal cattolicesimo e dalla Costituzione.
Testo di Giovanni Falagario
Nessun commento:
Posta un commento