giovedì 11 giugno 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE


Nessuna descrizione della foto disponibile.
ARTICOLO 33 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.

Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”

L’incipit dell’articolo 33 della Costituzione è folgorante: l’arte e la scienza sono libere. Non c’è dubbio che un’affermazione di tal fatta si ricollega all’articolo 21 della stessa nostra legge fondamentale in cui si afferma la libertà di pensiero e di parola. Quello che appare chiaro è che non è affatto una pleonastica ripetizione. Mentre l’articolo 21 afferma il diritto di chiunque ad elaborare ed esporre un pensiero, norma importantissima, l’articolo 33 dice un’altra cosa. Dice che l’arte e la scienza hanno bisogno dell’indipendenza del ricercatore e dell’artista per compiersi. Senza libertà non c’è ricerca. Lo Stato non può e non deve porre paletti, se non quelli legati alle leggi penali, all’esplicazione del genio umano attraverso l’opera d’arte o scientifica. Nessuno deve ingerire sull’altrui estro. Non vi possono essere imposizioni di stato. L’artista non deve essere sottoposto ad alcuna norma censoria. Perfino le norme di buon costume devono essere sospese nella valutazione di un componimento artistico. Negli anni ’50 del secolo scorso autori come Pier Paolo Pasolini furono processati per vilipendio alla morale e al buon costume pubblico. Le loro opere furono denunciate alle pubbliche autorità, perché considerate pornografiche. Questo non deve avvenire. Come hanno esplicitato le sentenze di assoluzione verso Pasolini, l’arte deve essere libera di esprimere la propria energia creativa senza alcuna limitazione e censura. È l’autore che deve esprimere la propria etica e la propria morale nel suo componimento, che può essere non conforme a quella pubblica. Poi sarà la critica letteraria e il pubblico a decretare se censurare, con stroncature oppure rifiutandosi di comprare i libri o di vedere le opere, l’operato dell’artista. Anche l’insegnamento deve essere libero. Il docente deve essere libero di avere una propria metodologia didattica e un proprio modo di approcciarsi ai discenti. La libertà di pensiero sarebbe offesa se non fosse accompagnata dalla libertà di insegnare liberamente. Alla libertà di insegnamento, quale benevolo Giano Bifronte, si accompagna il diritto allo studio. Chi impara il diritto di avere gli strumenti necessari ad apprendere. Tutti hanno il diritto di accedere alla cultura. Tutti devono poter andare a scuola, imparare. La scuola deve essere un diritto di tutti. Ecco perché lo stato garantisce l’esistenza di enti di istruzione. Si fa carico di creare scuole statali per tutti gli ordini e i gradi. Si fa carico di dare la possibilità di affrontare qualsiasi percorso di formazione professionale e abilitante in scuole pubbliche e di stato. È un principio fondamentale. Da una parte c’è libertà di istituire scuole private, dall’altra c’è la certezza che l’istruzione per tutti è un impegno per cui la Repubblica si obbliga a istituire istituzioni di carattere pubblico, composte da personale docente impiegato dallo stato a questa meritoria opera. Non ci può essere libertà di scienza e cultura senza una forte presenza dello stato nell’impegno educativo. Le scuole private, pur essendo animate da saldi e degni principi, non possono avere quell’afflato di indipendenza e di laicità culturale propria di un ente statale. Nelle istituzioni pubbliche tutti hanno il diritto di portare il loro contributo alla formazione. L’insegnate cattolico ha il dovere di portare la sua esperienza di fede al pari dell’insegnante laico che deve raccontare i suoi percorsi culturali. La libertà si lega a doppio filo con il pluralismo. Le scuole private sono spesso confessionali. La religione cattolica, i cui meriti riguardo alla formazione delle giovani menti italiane nei secoli va riconosciuto, ha ispirato centinaia di istituti scolastici nel nostro paese. Chi va a scuola in enti religiosi sa che avrà una visione del mondo fondata sui valori cristiani. È giusto che sia così. Chi si forma in una scuola pubblica invece deve aspettarsi un coro polifonico, fatto di idee e di valori diversi, spetta allo sforzo, non impossibile, di ognuno di noi, insegnante o discente, trovare la giusta armonia per far fruttare al meglio quel crogiolo di idee che è la scuola pubblica. Trovare un comune denominatore fra cultura laica, cattolica, liberale, socialista è possibile. La nostra Costituzione è esempio di virtuoso compromesso fra le diverse anime del paese. Bisogna avere la volontà di ricercare una comprensione e una tolleranza reciproca al fine di accrescere la cultura nazionale, non attraverso il conflitto, ma attraverso il dialogo. Le scuole private sono libere, ma non finanziate dallo stato. È la costituzione stessa a stabilire questo principio. Le scuole private non possono appoggiarsi sulla spesa pubblica. L’impegno della Repubblica è quello di rendere l’istruzione pubblica più efficiente. Nei decenni si è discusso se dare o meno contributi statali alle famiglie che decidono di iscrivere i propri figli a scuole private. Si è pensato: non finanziare le scuole private non deve inficiare il diritto all’istruzione dei bambini e dei ragazzi che scelgono di andare in istituti privati. Insomma si discute se sia possibile non finanziare la scuola privata, ma lenire i costi familiari legati all’insegnamento privato. Ad un’analisi ragionata non può sfuggire che così comunque si finanzia una scuola privata. I ragazzi hanno diritto ad un insegnamento non costoso, ma possono ottenerlo iscrivendosi a una scuola pubblica. D’altro canto si obbietta che imporre a chi non ha le risorse necessarie l’iscrizione solo in scuole statali è un limite alla libertà e al diritto all’istruzione. Le risposte sono plurime. La dottrina è divisa. È difficile stabilire cosa sia giusto o cosa sia sbagliato. Forza Italia e Lega da sempre hanno scelto di privilegiare la scuola privata, dando una lettura ampia del concetto di libertà di insegnamento, dirottando i finanziamenti pubblici a scuole private. La sinistra invece ha provato a rilanciare il comparto pubblico, con risultati che, per usare un eufemismo, risultano altalenanti. Difficile trovare una risposta. Quello che è necessario ricordare è che la scuola privata ha il dovere di formare i ragazzi utilizzando un trattamento scolastico equipollente alle scuole pubbliche. Gli scolari delle scuole private devono avere le garanzie democratiche che hanno quelli degli istituti statali. Devono avere un percorso scolastico adeguato e conforme alle norme generali sull’istruzione. Tutti gli istituti, statali o privati, devono seguire tassativamente il programma di studi ministeriale per le scuole di ogni ordine e grado. Il fine è di garantire una conformità nell’istruzione a livello nazionale. La repubblica vuole che i ragazzi abbiano, in ogni angolo del paese, una formazione adeguata. Per garantire la conformità dell’istruzione e la sua adeguatezza la costituzione impone che a conclusione di ogni ciclo scolastico ci sia un esame che attesti la preparazione del singolo alunno. Per accedere alle professioni è necessario un esame abilitante. La Costituzione impone che vi siano strumenti idonei per valutare l’andamento scolastico del singolo alunno, che siano l’esplicazione di come questi ha messo a buon frutto gli anni scolastici. Le alte scuole di cultura, le università e accademie hanno il diritto all’autonomia. Le alte scuole hanno potere di autogoverno e di autonomia. Lo sancisce l’ultimo comma dell’articolo 33. Le università hanno diritto di darsi uno statuto, che regolamenti la loro vita istituzionale. Hanno diritto di avere una dirigenza nominata dai membri accademici. Hanno diritto ad avere una politica scolastica autonoma rispetto alle ingerenze politiche. Insomma la libertà di insegnamento, così detta la costituzione, deve manifestarsi anche con l’autonomia delle università. Queste devono essere libere di fare ricerca, di fare cultura, di dialogare con la realtà sociale in cui si trovano. Le Università devono essere e sono il volano per accrescere il tessuto sociale che è presente nel territorio. Le Università devono e sono strumenti per far crescere l’economia e la ricchezza economica e culturale del paese. Pensiamo alle numerose interazioni fra industria e facoltà scientifiche, che hanno prodotto innovazione e cultura. Se da una parte il degrado culturale presente in molte regioni del nostro paese, soprattutto a Sud, fa piombare nel pessimismo. Dall’altro esperienze positive quali ad esempio quella del Politecnico di Bari che ha fatto dell’interscambio tecnologico con il settore industriale locale il suo modello di insegnamento, offre qualche speranza per il futuro. Rimane il fatto che nel nostro paese chi ha un percorso scolastico fruttuoso è messo da parte. Questo per la carenza strutturale nel settore dell’innovazione. Un paese che non investe in ricerca non ha bisogno di ricercatori. Questa per la crisi economica che attanaglia il paese e che invece di spronare all’innovazione tende a proteggere chi detiene privilegi ed ad escludere chi invece pur avendo qualità, non ha “santi in paradiso”. La costituzione è chiara bisogna puntare sulla ricerca e sullo studio per migliorare il paese. Qualcosa lo si è fatto nei decenni. Alcune realtà locali, alcuni poli industriali e di ricerca, in Italia sono all’avanguardia nel mondo. Pisa e la sua università sono i luoghi dove è nato internet. A Pisa è partito il primo bit informatico che ha raggiunto l’America via cavo telefonico nei lontani anni ’80 del secolo scorso. Questo bisogna ricordarlo. Ma allo stesso tempo bisogna ricordare i tanti laureati sottopagati o inoccupati, i tanti che vanno all’estero per vivere e lavorare. Finché l’Italia non saprà utilizzare al meglio le sue mirabili risorse umane la crisi non solo economica, ma anche culturale e morale ci soffocherà.
Testo di Giovanni Falagario

Nessun commento:

Posta un commento