ARTICOLO 39 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“L’organizzazione
sindacale è libera
Ai sindacati non può
essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali
o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la
registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a
base democratica.
I sindacati
registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentanti unitariamente
in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con
efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il
contratto si riferisce”
L’organizzazione sindacale è libera. Così sancisce il primo
comma dell’articolo 39. I lavoratori hanno diritto ad autorganizzarsi
liberamente. Possono formare sindacati all’interno dell’ambito lavorativo.
Queste organizzazioni di lavoratori si ispirano ai più svariati afflati
culturali. Ci sono sindacati cattolici, organizzazioni sindacali di ispirazione
socialista e così via. Se hanno un vasto numero di tesserati possono, anzi
devono, partecipare alla contrattazione nazionale del contratto lavorativo di
categoria. La libertà e la partecipazione sono i punti fermi che la
costituzione proclama nell’ambito dei rapporti sindacali. I sindacati sono
liberi. Hanno un loro statuto. Non devono sottostare ai dettami del potere
statuale e della politica. La loro libertà da ogni altro organo istituzionale
garantisce che i diritti dei lavoratori siano tutelati e che i loro interessi
siano posti al centro della politica repubblicana “fondata sul lavoro”, come
afferma l’articolo uno della nostra carta fondamentale. Compito dei sindacato è
proteggere le categorie sociali più deboli. Coloro che non possono far valere
la propria voce, coloro che sono schiacciati dalle terribili logiche economiche
e sociali, coloro che sono stritolati dalle logiche ciniche dell’economia,
dovrebbero trovare nel sindacato la loro difesa. I disabili, i meno fortunati,
gli indigenti, coloro che hanno un salario basso, dovrebbero trovare un
supporto materiale e morale in queste organizzazioni. I sindacati spesso si
impegnano strenuamente per difendere la dignità del lavoro e, soprattutto, dei
lavoratori. Difendono coloro che rischiano di perdere il proprio posto. Difendono
i disabili, che, soprattutto nel meridione, non riescono ad avere un’adeguata
protezione essendo emarginati ed irrisi. Difendono i migranti, che troppo
spesso vivono la loro condizione in stato di emarginazione e sono sfruttati
nell’ambito lavorativo. Il lavoro sindacale è encomiabile. Tanto c’è da fare
ancora. Tanto bisogna fare per superare gli ostacoli che ancora sussistono per
raggiungere l’integrazione. Bisogna cambiare la mente delle persone. Ancor oggi
sono i colleghi, i lavoratori, a denigrare il più debole. Siamo lontanissimi da
quello spirito di solidarietà a cui ha invitato papa Francesco. I sindacati
devono impegnarsi in questa opera di integrazione sociale. Bisogna che si operi
per promuovere la democrazia all’interno degli ambiti lavorativi. Bisogna
promuovere il diritto dei lavoratori alla reale partecipazione attiva alle
scelte che li riguardano direttamente. Bisogna abolire quella cultura
prevaricante che permette di soffocare le voci delle persone più deboli.
Abbiamo sotto gli occhi i casi in cui coloro che non riescono a parlare, coloro
che non riescono ad esprimere compiutamente le loro idee, vengono ridicolizzati
e, cosa ben più grave, messi in condizioni tremende. Sono i più deboli che
pagano lo scotto della crisi. Sono i più deboli che non solo scivolano verso il
basso nella piramide sociale, ma anche subiscono le più degradanti angherie. Il
sindacato, le organizzazioni dei lavoratori, dovrebbero operare per un
cambiamento culturale. Si può essere la Svezia! E’ un’affermazione provocatoria
questa. Ma si può aspirare ad avere una politica sociale di integrazione. Mi
preme sottolineare che in Svezia non sono cattolici, quindi è falsa l’idea che
il non essere cristiano autorizza all’emarginare socialmente. In Svezia non
solo solidali, perché lo dice papa Francesco, ma perché hanno una cultura laica
improntata alla solidarietà. Perché questa cultura non può arrivare anche in
Italia? D’altronde questa cultura incarnerebbe i valori costituzionali,
anch’essi fondati sulla partecipazione
solidale. Occorre notare che la costituzione prevede l’esistenza di un registro
sindacale. Un archivio in cui le organizzazioni dei lavoratori debbano
iscriversi per poter così partecipare di diritto alle contrattazioni con lo
stato e le organizzazioni dei proprietari. Questo registro doveva nascere per
legge. Una norma d’attuazione costituzionale doveva regolare la registrazioni
delle confederazioni sindacali. Lo stato non ha mai provveduto all’emanazione
di quest’atto. I sindacati non hanno avuto mai un registro nazionale o locale
in cui registrarsi. Questo non è solo un ritardo istituzionale. I sindacati e
la politica hanno sempre avuto remore nell’istituire un registro nazionale
sindacale. C’è il rischio che questo possa diventare uno strumento di controllo
sull’operato consociativo, c’è il rischio che questo possa portare un calo di
democrazia. Gli statuti dei singoli sindacati devono essere basati su principi
democratici. L’articolo 39 è chiarissimo. La democrazia e il pluralismo sono la
base del movimento sindacale. Non avrebbe senso che un’istituzione nata per
portare libertà nel mondo del lavoro, non avesse essa stessa libertà al suo
interno. La volontà è quella di evitare gli orrori del fascismo. Evitare che un
sindacato si stato sia meramente un organo di controllo sui lavoratori, come
era ai tempi di Mussolini e del suo sindacato unico. La democrazia è principio
cardine che deve entrare in ogni organizzazione, anche in quella sindacale. I
sindacati hanno il compito storico di portare nel mondo del lavoro i valori
repubblicani di libertà, uguaglianza e fraternità. Libertà vuol dire garantire
che il lavoratore possa esprimere liberamente la propria personalità anche in
quest’ambito, con l’espressione lessicale e con il lavoro. Uguaglianza è il
moto solidale che spinge a farsi carico dei bisogni dei meno fortunati: dei
disoccupati, degli emarginati in modo da superare le perequazioni sociali.
Fraternità è l’idea che tutti gli esseri umani, donne e uomini, sono accomunati
in un comune destino. Questo destino dovrebbe portarci a prenderci cura l’uno
dell’altro. Dovrebbe spingerci alla solidarietà. Il sindacato dovrebbe fondarsi
sula convinzione che l’unione, l’unità, è l’unica via per migliorare le sorti
dei lavoratori e dell’intero paese. Nessuno deve rimanere indietro. Bisogna
voltarsi indietro verso colui che è caduto. Porgergli una mano per alzarlo
dalla terra e continuare insieme una marcia verso le mete progressive
dell’umanità. Se si ragiona in quest’ottica si può comprendere l’importanza di
cambiare mentalità. Basta con le derisioni e i soprusi verso i più deboli. Si
può pensare a un progresso sociale inclusivo. Si deve avere la certezza che
l’unica via possibile per avere una società migliore è non lasciare indietro
nessuno. Per conseguire questo sogno di civiltà i sindacati devono impegnarsi
profondamente. La costituzione li rende liberi, devono utilizzare questa
libertà per liberare dalle incrostazioni culturali oppressive il mondo del
lavoro. Crediamoci per li bene dei disoccupati, dei sottopagati, degli
emarginati socialmente, dei soggetti alle angherie e alle derisioni e per tutti
noi che abbiamo diritto a lavorare e a vivere in ambiti lavorativi migliori.
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