ARTICOLO 38 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“Ogni cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e l’assistenza sociale.
I lavoratori hanno
diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria.
Gli inabili ed i
minori hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti
in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo
Stato.
L’assistenza privata
è libera”
L’articolo 38 della Costituzione garantisce il diritto alla
vita dignitosa di coloro che sono inabilitati al lavoro a causa di una malattia
cronica o momentanea. Chi non è nella possibilità di avere reddito a causa di
una patologia ha diritto al mantenimento e all’assistenza. Ha diritto ad essere
curato, assistito. È un principio basilare. Chi è in ambasce non deve rimanere
solo. La Repubblica si impegna ad assisterlo. Questo è il moto solidale che ha
spinto a scrivere questo articolo della Costituzione. La malattia e la
disabilità può portare agli abissi della disperazione. Le difficoltà fisiche si
accompagnano alla miseria sociale ed economica. La storia ci insegna che nei
millenni passati il malato era spesse volte all’ultimo gradino della scala
sociale. Basti pensare al lebbroso, scacciato e reietto dalla comunità, che
Gesù di Nazareth monda dalla malattia e dal peccato nei Vangeli. Questo stato di cose deve essere superato. La
civiltà moderna ha scoperto il valore della solidarietà. Il prendersi cura
dell’altro è il fondamento del vivere sociale della comunità statuale del XX e
XXI secolo. Troppo spesso, però, lo stato non garantisce adeguatamente le
persone in difficoltà. Troppo spesso il malato e il disabile è lasciato solo.
Non gli sono garantite le cure necessarie, non gli è garantito il diritto alla
dignità a causa di una legislazione e di un’amministrazione pubblica che troppo
spesso latita. Lo stato non è riuscito a creare una struttura assistenziale
adeguata alle esigenze della comunità. L’impegno della società civile, del
volontariato, ha sopperito alle mancanze istituzionali. Troppo spesso medici,
personale paramedico, familiari devono sopperire con il lavoro gratuito alle
mancanze istituzionali. Questo dimostra lo straordinario afflato alla
solidarietà che caratterizza molti. Allo stesso tempo è la lampante
dimostrazione di come le storture del nostro sistema statuale siano da freno
all’applicazione dei dettami costituzionali. Il Sistema Sanitario nazionale
deve farsi carico dei bisogni del malato. È inaccettabile che, se si è affetti
da una malattia cronica, non si possa avere un’adeguata assistenza. Lo stato
deve impegnarsi a superare i suoi limiti. Le Regioni devono adempiere il loro
compito costituzionale di gestire la sanità e tutelare la salute del cittadino.
Il diritto alla salute, il diritto a vivere bene, è uno dei cardini del
welfare. Chi sta male ha diritto a curarsi. Se un lavoratore è inabilitato, per
una malattia o per il sopraggiungere del peso della vecchiaia, ha diritto ad
avere una assistenza adeguata e ha diritto a non perdere il cespite economico.
La malattia non deve essere motivo per perdere la paga. È uno dei capisaldi
della solidarietà sociale. In caso di inabilità sopraggiunta al lavoro, il
lavoratore ha diritto a continuare ad avere reddito. È lo stato, attraverso
appositi enti, a sostenere le cure e a provvedere alla difesa del reddito del
soggetto. L’INAIL è l’ente pubblico preposto a tale scopo. In passato chi
cadeva in malattia, chi aveva un infortunio grave, era destinato a perdere il
lavoro e cadere in povertà. Nei secoli la solidarietà popolare ha creato le
casse di comune mutualità. Il principio era che chi stava in salute e lavorava
si impegnava a dare una parte del proprio salario a un apposita associazione di
lavoratori, la mutua, che distribuiva il denaro raccolto ai malati e agli
inabili. Questa solidarietà sociale è stata il simbolo di una cultura popolare
genuina, impegnata al prendersi cura dell’altro. Il socialismo si è fondato
proprio su questo, sull’idea che l’esempio di mutuo soccorso dei lavoratori
salariati possa poter costruire una società fondata non sul prevaricare
l’altro, ma sul reciproco aiuto. Ora non chiediamoci la realizzabilità di
questo progetto. Il sogno di una società fondata sulla comunanza ha prodotto
dei mostri, come ad esempio il comunismo sovietico. Quello che ci interessa è
notare come l’idea di mutuo soccorso, l’idea che chi ha un problema di salute
debba essere supportato dalla collettività, si fondi sulle idee nate dal
proletariato sfruttato e derelitto dei secoli XVIII , XIX e XX. Lo stato
moderno ha fatto propri quei principi. Le democrazie europee hanno fatto propri
i principi di mutualità. Quelle “casse di mutuo soccorso” non sono scomparse.
Sono state integrate in un complesso sistema mutualistico che prevede la
presenza dello stato assieme a quella delle associazioni dei lavoratori. Oggi
il sistema di assistenza nazionale è un sistema complesso in cui la spesa
pubblica e il contribuito dei singoli lavoratori interagiscono a garantire il
reddito di coloro che non possono lavorare per motivi di varia natura. Anche i
disoccupati involontari, cioè che non scelgono ma subiscono la mancanza di
lavoro, hanno diritto a un assegno di sostentamento. È la costituzione che lo
dice. Gli inabili e i minorati, brutta espressione frutto di un tempo lontano,
hanno diritto ad essere avviati al lavoro. Insomma c’è un rovesciamento della
cultura del passato. I disabili in passato erano reietti. Oggi la costituzione
impone che abbiano un ruolo sociale. L’articolo 38 è chiaro. Chi ha una
disabilità psicomotoria o di qualsiasi altro genere deve essere inserito nel
mondo del lavoro. Ricordiamo la disabilità mentale, che ancor oggi non ha un
adeguato riconoscimento sociale, chi vive questo problema è spesso relegato ed
emarginato, invece di essere supportato e inserito nel tessuto sociale. Bisogna
cambiare questo stato di cose con un adeguato investimento nei centri di
riabilitazione dei soggetti che hanno patologie psicologiche e psichiatriche. La
Repubblica si impegna a dare gli strumenti per superare i limiti fisici e
psicologici che potrebbero impedire al disabile di inserirsi nel mondo del
lavoro. È una rivoluzione copernicana. Dall’isolamento si giunge alla compartecipazione.
Per mettere in atto questo principio costituzionale la Repubblica ha previsto
che vi siano insegnati definiti di sostegno nella scuola pubblica e privata.
Docenti che sostengano, attraverso un rapporto definito “uno a uno”, il
processo di apprendimento di un bambino disabile che ha bisogno di attenzioni
particolari per poter conseguire risultati scolastici eccellenti. Insomma la
riforma della scuola, avvenuta a cavallo degli anni ’70 e ’80 del secolo
scorso, è stata anche latrice di una nuova filosofia della formazione del
soggetto disabile. Prima chi era disabile era indirizzato alle cosiddette
“scuole speciali”con la riforma il bambino è inserito nel tessuto sociale della
classe e compartecipa alla crescita collettiva in un fruttuoso interagire fra i
ragazzi disabili e i “normodotati”. Tutto non questo sarebbe stato impossibile
senza la nostra costituzione repubblicana. Al fine è giusto ricordare l’ultimo
comma dell’articolo 38. Lo Stato si impegna a creare istituti pubblici di
soccorso ai malati cronici e non. Allo stesso tempo riconosce e garantisce
l’attività privata nell’ambito dell’assistenza. “L’assistenza privata è libera”
dice l’ultimo comma dell’articolo. Che vuol dire? Che vi possono essere
strutture di soccorso al malato fondate sulla mutualità e sull’impegno
associazionistico, ma vi possono essere istituzioni private che curano ed
assistono per fare profitto. Ci possono essere ospedali che chiedono un
compenso per curare. Non bisogna dare un giudizio morale su tali istituzioni.
Tanti istituti ospedalieri privati, tante strutture di accoglienza private,
sono ottime e offrono aiuto al malato. È giusto che insieme alla mutualità, al
volontariato e all’impegno del pubblico vi sia anche il privato nell’ambito
sanitario. Il problema è riuscire a trovare un modo per evitare che questo
connubio non depauperi il patrimonio di cultura, di solidarietà e di impegno
come purtroppo spesso avviene. Leggiamo ogni giorno di scandali e tangenti
legati allo strano connubio fra enti statuali e sanità privata. L’articolo 38 è il monito a costruire una
società a misura del malato. È l’impegno della Repubblica a supportare chi è in
una fase spesso difficilissima della vita. Pensiamo a chi è affetto da malattia
grandemente debilitante. È giusto che sia rispettato il suo afflato solidale. È
giusto che lo stato, le istituzioni nazionali e locali, le associazioni di
volontariato del settore, i singoli cittadini si impegnino quotidianamente ad
attuarlo. Si impegno ad assistere chi è più debole e bisognoso.
Testo di Pellecchia Gianfranco
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